Molti sono gli esordi in questo 34°Torino Film Festival, tra cui anche Wexford Plaza, primo lungometraggio del regista canadese di origini asiatiche Joyce Wong che racconta una singola storia sdoppiandola in due punti di vista.
Betty, giovane ventenne sovrappeso, inizia il suo nuovo lavoro come guardia notturna di un desolato centro commerciale. Betty è alla costante ricerca dell’anima gemella, che prova a trovare tramite vari social network e chat. Un giorno, sul posto di lavoro grazie al suo stupido collega Rich, conosce Danny, anche lui con il suo carico di problemi, e per la giovane è subito amore. La gentilezza di Danny, però scompare in poco tempo e Betty prende una decisione azzardata: inviargli una foto osè di sè stessa. Purtroppo, le cose non vanno come vorrebbero e il feeling che sembrava ci fosse tra i due svanirà.
Sia Betty che Danny, al quale viene dato il compito di guidare la seconda parte della storia, sono due ragazzi la cui vita è sprofondata nell’inerzia, dalla quale entrambi cercano di uscire con espedienti più o meno adatti. Una commedia amara, della durata di 80 minuti o poco più, che presenta un impianto narrativo già usato molto spesso nel cinema contemporaneo, ovvero quello di suddividere in due parti la storia cercando di dare più interesse a ciò che viene raccontato. E’ questa la sensazione quando si guarda Wexford Plaza, un film che parte bene, con la vicenda narrata dal punto di vista di Betty, ironico e malinconico allo stesso tempo, continuando però spegnendosi man mano quando il tutto viene raccontato dalla parte di Danny, protagonista maschile che non dà un tocco in più alla vicenda.
Wexford Plaza risulta così un flm che funziona solo nella prima parte. E’ proprio, infatti, la scelta di Wong di dividere i due punti di vista ad appesantire l’andamento e far sì che siò che poteva essere interessante diventi noioso e non lasci allo spettatore uno spazio di vera riflessione sulla solitudine che attanaglia i due protagonisti.
Ilaria Scognamiglio