Facciamo insieme un gioco mentale. Pensate a film generalmente riconosciuti come brutti, ma con idee interessanti dentro. Immaginateli adesso con registi diversi e attori diversi.
Credete che il risultato sarebbe cambiato?
Sto solo ipotizzando, è un gioco mentale e quindi non avrò mai controprove certe. Di sicuro però, War Machine sarebbe stato diverso, quantomeno più focalizzato su una strada. Infatti sia David Michod alla regia sia Brad Pitt sono tra i difetti più evidenti del film.
Tratto dal libro di “The Operators” di Michael Hasting, il film racconta le vicende del generale americano che nel 2012 ha preso in mano le operazioni in Afghanistan. E’ quindi una storia vera, anche se molti nomi sono stati cambiati per convenienza. E come spesso accade con le storie vere più forti, assurde, sorprendenti, la finzione non supera mai la realtà. Raccontare i fatti veri in forma cinematografica sarebbe stato molto più interessante, anche perché quei fatti li sentiamo ancora oggi come conseguenze della nostra situazione geopolitica, che non cercare di tirar fuori altro.
War Machine infatti punta ad essere una satira.
Che il bersaglio siano i militari, oppure le disfunzioni della politica in zone di guerra, la finalità è la parodia. Vorrebbe così graffiare, provocare, ridicolizzare i propri bersagli, inducendo una riflessione da quelle assurdità. Ma non tutti hanno la visione di uno Stanley Kubrick, e sicuramente non ce l’ha Davd Michod.
Quest’ultimo è un bravissimo regista australiano che si è affermato con l’ottimo crime Animal Kingdom e col tesissimo e quasi muto The Rover. E’ chiaro dal curriculum che una satira politico-militare americana non è il suo territorio. E proprio venendo da un film quasi muto, trovarsi ora a dirigere un film stracolmo di voice-over è paradossale. Michod non riesce mai a bilanciare il tono della sceneggiatura, e le scene sulla carta più satiriche risultano a volte troppo ridicole, altre volte fin troppo artificiali (difetto terribile) per suscitare una risata. Tutte le parti migliori del film, non a caso, sono quelle più drammatiche, più emotive, in cui possiamo vedere soprattutto la mentalità del nostro protagonista.
War Machine è più a suo agio quando scava nell’interiorità del generale.
Le scene migliori del film sono quelle che mostrano la dolce amarezza del rapporto con la moglie. Oppure il sincero affetto per i suoi soldati. E soprattutto, l’insistenza nelle possibilità della guerra come sfogo personale che fa venire in mente Patton Generale d’Acciaio. Dopotutto sono tanti i film che hanno mostrato questi lati più interessanti dell’umanità in guerra, ovvero quello dei militari che vivono il fronte come una droga, come adrenalina, come unica necessità per la propria esistenza, e al di fuori del conflitto non sono più loro stessi. War Machine, al suo meglio, è uno di quei film. Michod è molto più a suo agio in queste scene, quando può uscire dalla satira.
Ma a ricondurre quasi sempre nella parodia anche la figura del generale è la sua performance. Brad Pitt non è mai stato uno dei migliori attori al mondo, ma è un buon attore che col ruolo giusto, e la giusta sceneggiatura, sa tirare fuori ottime cose. Questo non è il caso, purtroppo. La sua prova sopra le righe, i cui dettagli di caratterizzazione finiscono per essere sottolineature che trasformano in macchietta il personaggio, distrae tantissimo e spessissimo anche da momenti importanti.
Chissà se War Machine sarebbe stato migliore con altri dietro e davanti la macchina da presa.
Alla fine non è totalmente da buttar via, dopotutto è offerto da Netflix, quindi per una tranquilla serata è godibile. Più che brutto semmai è un film sbagliato, molto sbagliato, con bersagli e obiettivi fuori focus, e questo rimane un grosso difetto per una storia dalle ramificazioni così interessanti.
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Emanuele D’Aniello