Tre Manifesti a Ebbing Missouri, lotta contro rabbia e odio

tre manifesti a ebbing missouri

Probabilmente nessun’altra attrice al giorno d’oggi saprebbe interpretare l’isterica sarcastica e fragile come Frances McDormand.

Che fosse uno dei più grandi tesori d’America lo sapevamo già, e dai tempi di Fargo. Che fosse l’attrice ideale per il ruolo al centro di Tre Manifesti a Ebbing Missouri è altrettanto scontato. E che però la sua vulcanica quanto emotiva performance si elevasse grazie ad un copione calibrato al millimetro è merito del regista Martin McDonagh.

Come in tutte le sue opere precedenti, McDonagh spruzza la vicenda di quell’ironia, spesso assurda, che fa ridere e rende credibilmente realistici i personaggi. Qui però non tocca il grottesco o la dark comedy fine a sé stessa come in precedenza, ma crea il puro dramma umano e personale. Una commistione, quindi, che dà vita ad un film vibrante, sempre in movimento, sempre con la battuta pronta, sempre pronto ad essere rivoltato come un calzino e cambiare prospettiva ad ogni passaggio di scena.

La storia dell’omicidio non risolto di un’adolescente, e della madre che cerca di rimettere le attenzioni sul caso per trovare i colpevoli, sarebbe già di per sé efficacissima. Tre Manifesti a Ebbing Missouri, però, non è solo guidato dall’emozioni della storia, ma si barcamena con abilità nella costruzione dei personaggi, tutti, e nell’esplorazione tematica dei mali che affliggono il nostro presente. In maniera realistica, ma mai pedante o buonista. Un film con temi ben precisi, che allora possiamo immaginare di vedere proprio in quei tre manifesti.

Un manifesto contro la rabbia.

Il viaggio dei personaggi, sotto le spoglie del whodunit, è una ricerca dei nostri difetti e scheletri nell’armadio. Tutti i personaggi si lasciano andare a scatti d’ira, tutti ne pagano le conseguenze. L’esistenzialismo del film ci mostra come la rabbia possa fare solo danni, e soprattutto come possa essere trasmessa agli altri sotto forma di reazione. Da rabbia nasce altra rabbia, su questo non ci piove, un tale forte sentimento che comunque non può riparare i torti già commessi.

Un manifesto contro l’odio.

Sembra banale a dirsi, oppure tardivo, ma l’odio è davvero uno dei grandi sentimenti che guida il presente. Stiamo vivendo la stagione dell’hating di professione, lo sappiamo. La gente ormai non guarda più le cose per amarle, ma per odiarle. Il film è tutta una grande parabola sulle conseguenze dell’odio, di come questo sentimento inconsciamente divori noi stessi e tutto ciò che tocchiamo. Un odio personale, sociale, razziale, che sta travolgendo i nostri giorni e spessissimo è inutile.

Un manifesto contro l’America odierna.

Ovviamente è audace immaginare sia stato fatto per combattere la piega politica presa ultimamente negli Stati Uniti. La tempistica non collima, c’è da ammettere. Al tempo stesso non è notizia di oggi, ma ormai fatti di cronaca assodati, vedere la polizia picchiare un afroamericano o vedere le minoranze etniche vessate. Appunto dall’odio, nuovamente.

Tre Manifesti a Ebbing Missouri è un piccolo gioiello che, senza la paura di risultare talvolta troppo divertente, capisce la propria natura e offre spettacolo, commozione e introspezione. Le risate quando arrivano sono a voce alta. Le lacrime quando arrivano colpiscono efficacemente il cuore. Insomma, McDonagh non ha sbagliato nulla stavolta a cominciare dal cast: una Frances McDormand in palla è come detto il traino principale, ma il carisma di Woody Harrelson e la tristezza che sa infondere Sam Rockwell, col miglior personaggio che evolve durante la storia, sono il sale decisivo per poter mangiare questa prelibatezza.

E allora gustiamoci l’ironia, il divertimento, le battute fulminanti e anche le lacrime del film, con la consapevolezza, vedendo il finale, che è meglio vivere felici e contenti. Sempre abbandonando l’odio, sempre scegliendo la via più difficile ma più promettente per la serenità interiore, come fanno i due protagonisti nel finale. Insomma, come citando un altro famoso film cult: “scegliete la vita“.

.

Emanuele D’Aniello

Malato di cinema, divoratore di serie tv, aspirante critico cinematografico.

1 Commento

COMMENTA QUESTA DOSE DI CULTURA

Lascia un commento!
Inserisci il tuo nome qui