Il Contagio, la macchia nera sul destino di Roma

il contagio

Certo che fare adesso un film sulla criminalità romana, per quanto estremamente attuale, è davvero difficile.

Fai un film sui piccoli criminali di periferia, sulle infiltrazioni nell’imprenditoria e nella politica locale, e tutti pensano subito a Suburra.

Fai un film sui problemi sociali e personali della realtà delle periferie, sui tormenti interiori di figure ai margini, e tutti pensano subito a Pasolini.

In realtà, e in un certo senso anche per fortuna, Il Contagio non è uno né l’uno né l’altro. Pesca da entrambi i filoni, come potrebbe non farlo, ma non è quella la meta finale. I due registi Daniele Coluccini e Matteo Botrugno non gettano il loro sguardo sulle facile sparatorie, sul traffico di droga o sull’associazione mafiosa. Quelle sono le conseguenze, non il soggetto principale del racconto. Sono conseguenze, appunto, di una realtà sociale disastrata, di un travaglio personale che trova il facile sfogo nella cocaina e nelle rapine.

Il Contagio azzecca indubbiamente il proprio bersaglio, grazie anche ad una recitazione intensa e sincera del cast corale.

I difetti, semmai, sono nell’improvviso cambio di prospettiva nella seconda parte. Quello che all’inizio sembra un’impostazione quasi teatrale, una visione a 360° su una galleria di reietti, dopo la metà si concentra esclusivamente sui due protagonisti maschili. Una scelta sorprendente e un po’ problematica, che sposta il mirino ancora una volta nelle difficoltà del singolo. Più che Suburra allora, il paragone sembra rimandare piuttosto a Romanzo Crimanale, a quella fondazione di amicizia e affetto tipicamente virile uccisa dalle scelte di una vita criminale. Certo, Roma c’è sempre, e questa una macchia indelebile per la città: tutti i registi nati nella capitale l’amano, ma al tempo stesso la vivono come un problema.

Il Contagio non rivoluziona le sorti del cinema italiano, e nemmeno del genere crime romano. Comunque, e questo è importante, è l’ennesima prova che il talento delle nuovi voci del nostro cinema c’è, ed è ora di farle sentire nella maniera più forte possibile.

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Emanuele D’Aniello

Malato di cinema, divoratore di serie tv, aspirante critico cinematografico.

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