Frantz, l’amore ai tempi della guerra

Frantz

Ai festival gli autori sanno anche cambiare il loro approccio.

Forse sarà l’età che avanza, forse saranno i temi trattati in passato mai leggeri che alla lunga creano un peso interiore non indifferente, forse saranno i tempi difficili che viviamo (soprattutto per un autore francese), ma Francois Ozon giunto al suo 16° lungometraggio non è mai stato così delicato prima d’ora.

Certo, il suo film Frantz ha in dote sempre radici non facili, su tutti il dolore e il lutto, ma uno come Ozon non è mai stato così poco controverso, così elegante, così tanto raffinato e delicato. Un tocco amorevole che passa sulla sua storia e sui suoi personaggi, che non a caso ne hanno davvero bisogno.

Frantz, e il titolo deriva infatti da un personaggio non presente sulla scena, è forse la risposta positiva e ottimista di Ozon al terrorismo odierno, e le immagini che mostra di una Francia e di una Germania ferite e distrutte dalla guerra nel 1918, con i suoi abitanti ancora scossi dal conflitto (la scena della Marsigliese non può non far venire in mente la tenacia e l’unione dei francesi di fronte ai recenti terribili fatti di cronaca) ci ricordano che il lutto è un sentimento personale ma anche globale, spesso e purtroppo. O forse magari si legge e io leggo troppo le righe, e così Frantz è soprattutto la storia di due essere umani uniti dalla tragica sorte oltre il proprio destino, in cerca di un punto di contatto comune per superare il dolore. L’elaborazione del lutto è un tema spesso affrontano dal cinema, ma il tocco delicato dell’autore francese è una lettera di speranza verso un futuro magari non migliore, ma ancora da costruire, possibilmente insieme a qualcuno.

Chi è abituato ai temi della sessualità di Ozon qui dovrà ricredersi, e più che stupire qui i protagonisti Pierre Niney e la giovane Paula Beer, splendida sopratutto quest’ultimo, faranno semmai innamorare per la loro fragilità mai nascosta ma anzi simbolo della necessità di andare avanti. Frantz evita il banale melodramma e invece di appesantire i sentimenti e schiacciarsi su di essi riesce a cogliere la leggerezza dei piccoli gesti e momenti, lasciando allo spettatore la voglia di sorridere al prossimo, nonostante tutto.

Emanuele D’Aniello
Malato di cinema, divoratore di serie tv, aspirante critico cinematografico.

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