Animali Notturni, il raffinato gusto della vendetta

animali notturni

Amore, violenza, pentimento, insoddisfazione, virilità.

Basterebbe uno solo di questi temi per creare una storia cinematografica, ma Tom Ford decide di prenderli tutti, affamato ed impaziente di tornare al cinema a 7 anni dalla sua prima e finora unica regia, quel A Single Man che fu un meritatissimo successo.

Animali Notturni racconta tutti i sentimenti finora citati con lo stile impeccabilmente elegante di Ford, il famoso stilista del marchio Gucci
che sinceramente pare masticare cinema da decenni come fosse il suo primo mestiere. Ma la bulimia tematica e narrativa del film, un racconto nel racconto dai toni completamente diversi, fatica a reggere costantemente la propria ambizione.


E’ faticoso anche, sono onesto, capire cosa funzioni e cosa non vada del film, perché le due macrosezioni hanno entrambe pregi e difetti. La storia vera del film, ovvero quella di Amy Adams, è la più umana e la più reale (oltretutto la bravissima attrice col suo talento salva davvero un personaggio piuttosto piatto), ma lo stile elegante di Ford è piuttosto auto-compiaciuto, e le battute satiriche sullo stile di vita dei ricchissimi californiani divertono ma graffiano poco buttate così nel calderone. Il racconto che la protagonista legge ed immagine, ovvero le sequenze col sempre ottimo Jake Gyllenhaal, è squisitamente pulp come le migliori storie di vendetta e ha il solito gigantesco Michael Shannon da incorniciare, ma è fin troppo ricco di stereotipi, per quanto voluti, e fin troppo lunga per essere appunto solo immaginata.

Certo, il collegamento emotivo tra le parti è ovvio, e tutto il romanzo che la protagonista legge e noi vediamo immaginato sullo schermo è perfetta metafora della relazione castrante all’origine dell’intera vicenda; ma il collegamento emotivo rimane spesso in superficie, e dispiace quasi che Ford non abbia deciso di girare due film separati dalle diverse ma ugualmente enormi potenzialità.

Animali Notturni
merita per il suo impressionante cast (ho già citato tre nomi, ma in più voglio sottolineare il cameo esilarante di Laura Linney) e per la conferma dell’innato talento visivo di Tom Ford, ma al tempo stesso ci suggerisce pure la necessità del regista di togliersi schiarirsi e decidere cosa vuole fare, o che tipo di cinema realizzare, da grande.

 
Emanuele D’Aniello
Malato di cinema, divoratore di serie tv, aspirante critico cinematografico.

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