C’è una scena estremamente significativa verso il finale di Una Donna Fantastica.
Marina, la nostra protagonista, è sola nel letto. Completamente nuda. L’inquadratura indugia sulle parti basse, e scopriamo che tra le gambe c’è uno specchietto: non vediamo i suoi genitali, ma il suo volto.
Non ci vuole molto a capire il significato, che riesce a sopperire all’ovvietà con la sua enorme importanza. Marina non è definita in quanto essere umano dai suoi genitali, o dal suo orientamento sessuale. La persona, il suo animo, i suoi pregi e difetti non sono definiti dalla presenza di un pene o di una vagina. Lì sotto, tra le gambe, c’è sempre e comunque Marina, una persona, e questo basta.
Ah, forse dovevo dirvi prima che Marina nel film è un transessuale. Anzi, colei che la interpreta, Daniela Vega, è una giovane attrice e cantante lirica cilena transessuale. Una Donna Fantastica ha il merito di sovrapporre la storia del personaggio alla narrazione della vita vera, e il tutto assume un significato ancora più potente.
Non solo per questo, comunque, Una Donna Fantastica merita di essere definito un gran film.
Il regista cileno Sebastian Lelio già col suo precedente film Gloria aveva mostrato uno spaccato sincero e profondissimo della vita di una donna, un’indagine sulla solitudine senza filtri, con tanto coraggio, e senza paura di disegnare protagonisti spigolosi, e forse proprio per questo ancora più vivi, umani ed empatici. Ora con Una Donna Fantastica prosegue quel discorso, e la solitudine acquisisce il nuovo senso di faccia a faccia con sé stessi.
Esattamente come la sua protagonista, il film non può essere inquadrato banalmente. È un character study sobrio e asciutto, che indaga la realtà sociale del Cile contemporaneo alla ricerca di trasformarsi in un paese moderno. Al tempo stesso è però una storia psicologica, che non lesina dosi di realismo magico per entrare a contatto con i sogni e le paure della protagonista. È un affresco sulla diversità ribaltato, perché invece della retorica sceglie di definire la normalità di Marina attraverso i comportamenti anormali di chi la circonda, mettendo in piazza una paura e un senso di respingimento che non hanno mai radici o motivazioni. Diventa un’elaborazione del lutto radicale, perché il senso di perdita diventa necessità di ritrovare l’altro dentro di sé.
Daniela Vega è volto, corpo e sentimento che fa compiere al film un grande salto di qualità. Infonde credibilità, per ovvi motivi, ma soprattutto un senso di timidezza e improvvisa sicurezza davvero raro.
Grazie a lei Una Donna Fantastica è il miglior manifesto possibile per le donne e gli uomini transessuali al cinema. Grazie a Sebastian Lelio è più facile capire come la normalità non sia reale, ma un concetto inventato e assolutamente relativo, e ciò che conta è la sempre e solo la persona e ciò che abbiamo dentro, non fuori. Spiace notare che ciò accade prima in Cile, addirittura, che non in Italia, ma meglio a qualcuno che a nessuno. E poi fortunatamente rimane il grande film, il modo migliore per rimarcare la potenza del cinema oltre i confini dello schermo.
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Emanuele D’Aniello
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