L’Ora Più Buia è il gemello di Dunkirk non solo per la backstory che fornisce a quell’evento storico.
Il recentissimo lavoro di Christopher Nolan, infatti, è un film di guerra pur senza mostrare la battaglia. Ugualmente, L’Ora Più Buia è un film di guerra senza andare mai un solo istante in trincea. Racconta il conflitto contro il nazismo, quello che porterà gli inglesi non solo a vincere, ma soprattutto a sopravvivere sotto i bombardamenti mandando un potentissimo messaggio morale più forte di qualsiasi vittoria militare. Sotto la guida proprio di Winston Churchill, non dimentichiamolo. Racconta poi una guerra di politica, con un uomo chiamato per traghettare, messo in mezzo ad un gioco di pedine inutili, che deve barcamenarsi tra strategie di facciata e sotterfugi parlamentari. Inoltre, mostra una guerra di parole, l’uso dell’oratoria per convincere avversari, alleati, ed ispirare sconosciuti a fare cose impensabili.
Nello sfruttamento di un oceano di parole, nell’uso degli interni, il film parte da un’impostazione teatrale. Una scelta rischiosa, perché il tono classico ed il look canonico avrebbero potuto trascinarlo a terra. O quantomeno farlo passare inosservato. Invece il grande successo di L’Ora Più Buia è quello di essere avvincente e coinvolgente per 120 minuti. Trasforma il suo setting claustrofobico in un dinamico labirinto fatto di stanze e corridoi bui, uno straordinario paradosso.
E per quanto sia parlato, non cala il ritmo e anzi alza sempre l’asticella della tensione.
Ci riesce grazie al sapiente umorismo british. Ci riesce, per tornare al tema della guerra, grazie al conflitto interiore presentato in Churchill. Abbandonarsi alla politica vera oppure non arrendersi agli schemi? Una doppia chiave di lettura: come il primo ministro inglese si ribella agli schemi sicuri, così il regista Joe Wright rifiuta di giocare alle regole tradizionali dell’abusatissimo biopic britannico.
Con i suoi movimenti di macchina Wright dà respiro alla narrazione, i piani sequenza conducono e avvolgono lo spettatore dentro le scene stesse. La regia è energica, vulcanica, esattamente come la prova di Gary Oldman. È ovvio che la performance centrale sia decisiva per la buona riuscita dell’intero film. Oldman è motore di tutto, con le sue urla, gli sguardi carichi di passione ed il lavoro stupefacente sulla voce. Non pesa il trucco vistoso, non c’è mai l’impressione di vedere un attore trasformato: Oldman si nasconde nel ruolo ed il pubblico dimentica di assistere ad un’opera di fiction.
L’Ora Più Buia è un’opera che rappresenta l’eccellenza nella strada che segue. Cinema classico, ma cinema classico fatto benissimo. E riesce, come il fumo che si insinua nella luce degli spazi chiusa catturata dalla fotografia decolorata di Bruno Delbonnel, ad insidiarsi nella mente del pubblico ricordandogli i tempi che corrono. Non arrendersi mai non è un motto elettorale, non è un pretesto narrativo, ma una scelta necessaria. L’Ora Più Buia non farà la storia del cinema, ma il suo messaggio è più attuale e importante che mai.
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Emanuele D’Aniello
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