The Square, il quadrato, è letteralmente uno spazio nel quale siamo costretti a confrontare noi stessi.
È il nuovo spazio del museo svedese al centro del film di Ruben Ostlund, un’opera d’arte moderna nella quale tutti gli uomini sono uguali, e soprattutto buoni. Il problema è che il mondo non è quadrato, ma tondo. Al di fuori, ovvero nel nostro vero mondo, nel nostro quotidiano, la società in cui viviamo è un continuo masso che cade in un precipizio. Sempre più giù, sempre più velocemente.
Ostlund prosegue la strada iniziata col suo precedente film Forza Maggiore. Anche questa è una satira, anche questa è una dark comedy. The Square, onestamente, fa più ridere, ma risulta ancora più acido e sgradevole; è anche più lungo come durata, ma ha un ritmo ancora più soffocante.
Una serie di paradossi insomma, e proprio questo è il bello. Dopotutto la mira di Ostlund è quella al mondo dell’arte, al direttore di un museo d’arte contemporanea, una persona intelligente e preparata ma vanitosa ed egocentrica, irascibile e astruso. Un simbolo della società borghese, e The Square, uscendo dal suo stesso quadrato, fa calare il velo dell’intera umanità.
La satira di Ostlund è pungente perché porta a fare domande che non vorremmo porci. Ci mostra situazioni che non vorremmo vivere. Mette a disagio, scatena una reazione emotiva, spesso di disgusto, esattamente come la vera arte dovrebbe fare.
Ostlund si diverte, è chiarissimo. In un gioco meta chissà quanto voluto, diventa in pratica lui il borghese vanitoso che dall’alto di non si sa bene cosa provoca da una posizione di finto controllo. Ma la sua corrosiva visione è anche autocritica, e il punto centrale esattamente come nel film precedente è rivolto al mondo maschile. Il suo protagonista, che gira in Tesla ed esulta come un animale sotto scarica di adrenalina, è un tipico ipocrita del suo genere.
Se l’uomo di Forza Maggiore piangeva, quello di The Square sguazza nei vizi e nei difetti. I maschi di Ostlund sono figure arroganti e deboli, incapaci di dominare gli impulsi. E, pur se provano a nasconderlo, sono costantemente spaventati da ciò che li circonda. Terrorizzati, letteralmente, di perdere uno status naturale che non si sono mai meritati. Non a caso il protagonista è messo in scacco, concretamente e moralmente, da un bambino, che ha più coraggio e etica di un adulto.
Si potrebbe addirittura definire la visione di Ostlund come autentica misandria. In realtà l’autore svedese con The Square allarga il raggio d’azione, abbatte il politicamente corretto della società moderna, le ipocrisie e le differenze di classe che ogni giorno erigono muri inutili. Il museo d’arte contemporanea non raffigura, allora, solo l’esilarante presa in giro di un mondo inesplicabile alle masse, ma anche quella chiusura mentale, quella torre d’avorio che fa perdere il contatto con la realtà umana.
The Square non offre soluzioni, naturalmente. Il suo compito è quello di mostrare e forse abbattere muri.
Lo fa con arguta ironia e soprattutto col coraggio di mettere veramente a disagio lo spettatore. In fondo, provare ribrezzo vuol dire che dentro siamo ancora umani, nel migliore dei casi. Nel peggiore, che invece vorremmo abbandonarci gli istinti e quasi invidiamo chi non ha più sovrastrutture mentali o sociali. Come l’uomo scimmia che, nella scena più pazzesca del film capace di trovare una linea di confine bizzarra tra Von Trier e Bunuel, col suo comportamento animalesco prima accentua l’impotenza della società borghese e poi fa esplodere la violenza innata dell’uomo.
È allora è meglio abbandonarsi al caos che già esiste, oppure provare tutti ad entrare nel quadrato e viverlo seriamente?
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Emanuele D’Aniello
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