The Hateful Eight, il logorroico giocattolo di Tarantino

Da dichiarazioni e interviste varie, è piuttosto ovvio intuire il nome del più grande fan di Quentin Tarantino sulla faccia della Terra: lo stesso Quentin Tarantino, appunto.

E’ uno che quando passano i propri film in tv si ferma e li riguarda, si auto-cita nelle proprie opere, fa classifiche dei suoi stessi personaggi e delle sue stesse scene, ha iniziato a numerare i propri lavori perché vuole terminare la carriera con 10 film girati per non sprecare il buon lavoro fatto, ed è pure a conoscenza che per tutti il suo peggior film è Death Proof, e gli sta bene così. Il concetto chiave è appunto “consapevole di se stesso e del proprio cinema” e nessuno lo è come lui. Ammettiamolo, è uno dei pochissimi autori per cui non diciamo “vado a vedere questo film” ma piuttosto “vado a vedere Tarantino” e lui lo sa benissimo, gli piace e ci gioca tantissimo.
Tutto questo, come mai prima d’ora in oltre 20 anni di carriera, lo troviamo nel suo nuovo monumentale lavoro The Hateful Eight: in un certo senso western, per un altro verso giallo da camera, con un’altra prospettiva ancora spettacolo teatrale in via di definizione, The Hateful Eight è essenzialmente 3 ore di Quentin Tarantino che si masturba guardandosi allo specchio.
Sia chiaro, Tarantino ha sempre giocato moltissimo nei suoi film, che non a caso possono essere ambientati solo e soltanto nella sua sua testa o nel suo universo parallelo. E il cinema di Tarantino piace e ci piace anche per questo. Però, come in tutte le cose, un limite c’è sempre. The Hateful Eight è a tutti gli effetti una versione aggiornata e corretta di Le Iene ambientato nel genere western, e sarebbe stato una onestissima e divertente opera minore nella filmografia del regista, una scelta che ci sta, non certo una vergogna, pur sempre un film avvincente e godibile. Ma no, a Tarantino di fare un film minore non gli sta bene, e pur con a disposizione un materiale semplice, perché dalla struttura del giallo da camera non si scappa, ha voluto strafare e uscire dagli schemi anche quando sarebbe stato meglio accettare il basso profilo. E così abbiamo teste che scoppiano, un trucco accettabile in film dinamici come Kill Bill e Django Unchained ma non qui, e una iper-pubblicizzata fotografia in 70mm quasi sprecata dall’ambientazione in uno spazio chiuso.
Prendete la scena nella locanda di Bastardi Senza Gloria e allargatela per 3 ore: è chiaro che difficilmente può funzionare. La tensione della storia centrale inevitabilmente si abbassa, e Tarantino stesso fa di tutto per ucciderla con sottolineature del tutto inutili e fastidiose (la voce fuori campo per spiegare un qualcosa che sarebbe stato meglio mostrare e basta). Tarantino, che dopotutto un fenomenale autore rimane, prova altri stratagemmi per tenere alta l’attenzione, a partire dallo sviluppare i suoi personaggi, forse il suo maggior talento, ma degli 8 se ne salvano appena la metà, perché c’è sempre la perturbante sensazione di non vedere veri personaggi ma solo pedine mosse dal burattinaio Tarantino, con tanto di fili. Non c’è l’emotività che portava avanti da Kill Bill in poi, non c’è la maturità della messa in scena trovata negli ultimi due film (se la tecnica non si sposa alla narrazione è solo esercizio di stile).
Tutti i film di Tarantino hanno un comune e fantastico pregio, quello di essere sempre e comunque enormemente rivedibili, tante e tante volte. Ecco, The Hateful Eight non lo ha, e non solo per la durata. Tarantino è forse al mondo l’autore più cinematografico nel senso stretto del termine, è uno che letteralmente ama il cinema come pochi grandi registi amano, e qui aveva a disposizione un bellissimo racconto, un bellissimo giallo ricco di riflessi e spunti sulla condizione della fondazione dell’America attuale: a Tarantino questo non è bastato, e invece di mettersi a servizio del proprio copione, ha fatto il contrario, sacrificando la storia per lanciare i suoi guizzi, spingendo l’acceleratore ogni volta appena possibile. Però ecco, non tutto è sempre un gioco.
Emanuele D’Aniello
Malato di cinema, divoratore di serie tv, aspirante critico cinematografico.

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