The Founder, come ti costruisco l’America
Ogni tanto ci sono film che, importanti o meno, riusciti o meno, totalmente a prescindere dalla qualità (che comunque aiuta sempre, sia chiaro) diventano molto di più di ciò semplicemente raccontano, andando a toccare lo zeitgeist del momento in cui escono.
The Founder è senza ombra di dubbio uno di questi film. E appunto, il fatto che sia anche un buonissimo film aiuta a lasciare un segno profondo del capire l’era che stiamo vivendo.
Lontano dal volerci raccontare una biografia standard dei protagonisti coinvolti, senza cercare la tradizionale e documentaristica ricostruzione della nascita di un’impresa, The Founder diventa fin da subito un character study su un protagonista silenzioso, non visto ma sempre presente: l’America. Chi potrebbe infatti bollare rapidamente il film come “il dietro le quinte sulla nascita di McDonald’s” non ha capito, o forse semplicemente erroneamente snobba, il peso che questo nome ha avuto e tuttora ha in tutto il mondo: non una catena di fast food, non una multinazionale, non un impero, ma un autentico simbolo del capitalismo globale. Quella singolare e sinuosa M riconoscibile in tutto il mondo, presente in tutto il mondo, che anche nei posti più sperduti ti fa mangiare come se non ti fossi mai spostato di un millimetro, nel corso del tempo è diventato un vero e proprio simbolo della globalizzazione e del capitalismo americano, spesso non a caso bersaglio di proteste e rappresaglie di manifestazioni antagoniste.
Più di qualsiasi altro marchio, più di qualsiasi altro monopolio, McDonald’s rappresenta l’industria che è diventata la vera chiesa d’America.
Proprio per questo The Founder, certo, ci racconta la storia spicciola e e basica di come l’imprenditore Ray Kroc ha sottratto ai due fratelli la loro catena di ristoranti, ma soprattutto fa del proprio protagonista lo strumento per raccontare il passaggio dell’America da terra delle opportunità a macchina di profitto senza cuore. In questo discorso, pur essendo due film profondamente differenti qualitativamente e nemmeno paragonabili, The Founder ricorda l’approccio di Il Petroliere: se quel film era una grossa allegoria dei due pilastri su cui l’America è stata fondata, ovvero religione e capitalismo, The Founder il discorso lo rende nettamente esplicito quando il protagonista cita l’unione visiva e sentimentale che ogni cittadino ha davanti uscendo di casa: una bandiera americana, una chiesa, e adesso un ristorante con una M gigantesca.
Patriottismo.
Fede.
Profitto.
Tali temi e parole chiave, come facilmente capirete, sono ancora attualissimi. Ma cosa rende, come detto in apertura, The Founder un film ancora più attuale, un film che davvero esce al momento giusto e ci parla dei giorni che stiamo vivendo? Nella sua indagine sull’ambizione sfrenata, nel modo in cui unisce commercio a definizione caratteriale, nell’approccio estremamente nichilista che porta avanti fino all’ultimo secondo, The Founder è il film ideale per aprire le porte all’America di Donald Trump. A tratti non si ha l’impressione che Michael Keaton interpreti Ray Kroc, ma quasi una versione riveduta e corretta dell’era di Trump: luciferino, magnetico, sfrontato, Keaton sforna l’ennesima grande performance della sua rinata carriera e ci regala un personaggio che non si ferma davanti a nulla, divorato dall’ambizione e dalla voglia di possedere. Il suo personaggio – che rappresenti Trump o l’America, fate voi – non è uno sfortunato che cerca di emergere, ha già una moglie, una bella casa, una certezza economica, ma semplicemente non gli basta, è frustrato perché non ha di più, anzi, lui non vuole avere di più, lui vuole avere tutto. E c’è una differenza sostanziale tra le due cose.
The Founder non mette in scena la parabola di un anti-eroe a cui, partendo da una posizione di svantaggio e raggiungendo finalmente la vetta, l’ambizione e la fama danno alla testa, ma coraggiosamente ci mette davanti un autentico villain che passa come un carrarmato su tutto e tutti pur di possedere, pur di avere più degli altri, pur di avere e non lasciare a qualcun altro le briciole. E’ colui che ti guarda dritto negli occhi e ti convince a fare qualcosa perché si sente in diritto di doverlo fare. E’ l’ambizione che fa il passo successivo e diventa egocentrismo, cieca e incontrollabile volontà di possedere anche ciò che non gli apparterrà mai. Sì, è praticamente il viziato miliardario che non contento si candida alla presidenza.
I migliori film sono quelli che superano le proprie intenzione per diventare altro, spesso involontariamente. The Founder getta le radici negli anni ’50 per cercare di capire come l’America stessa sia diventata una multinazionale, e così facendo arriva a catturare l’essenza degli anni che ci aspettano imbevuti di fanatico leaderismo e ferrea determinazione sopra tutto il resto.
L’amaro in bocca rimane, e anche questo è merito e compito del grande cinema.
Emanuele D’Aniello