Che ormai la tematica LGBT sia arrivata ai medium visivi con forza straripante, è innegabile.
E sia chiaro fin da subito, era anche ora: finalmente tv e cinema danno il giusto spazio ad una grande parte della popolazione che raramente ha avuto una voce, e quasi mai importante. Se poi aggiungiamo anche il caso recente di Caitlyn Jenner, finito subito nella cultura pop odierna, capiamo il peso della situazione.
Di conseguenza, col carico di talento e nomi che si porta dietro, The Danish Girl diventa automaticamente il titolo più importante di questo nuovo filone, un film di cui sentiremo parlare molto e per mesi a venire. Che poi tale copertura sia meritata dalla qualità del film in sé… ecco, proprio questo è il punto dolente.
The Danish Girl racconta la storia del pittore danese Einar Wegener, che nella prima metà del ‘900 fu il primo uomo a sottoporsi all’operazione per cambiare sesso, e come tale mutamento abbia sconvolto il suo matrimonio con l’artista Gerda Wegener. Ma ancor di più della trama biografica, The Danish Girl è in tutto e per tutto un film del regista inglese Tom Hooper, l’autore di Il Discorso del Re e Les Miserables divenuto un pochi anni un marchio di eleganza e grande forma scenica. Questo nuovo film non discosta affatto dai canoni abituali di Hooper: magnificamente messo in scena, elegante nel tono e nel modo di narrare il proprio contenuto, con grandissima attenzione a scenografia e costumi, sinceramente splendidi, e risalto alla fotografia quasi pittorica di Danny Cohen.
Ma proprio tale compostezza, tale misura fin troppo patinata e perfetta, stride e frena un contenuto tematico che invece dovrebbe essere travolgente, discutibile, perfino scabroso, sicuramente più “sporco” di quanto si veda nel film.
Il gusto formale ed eccessivamente “politically correct” di Hooper, aggiunto alla sceneggiatura di Linda Coxon, molto convenzionale, piatta, piena di frasi banali, riduce il dramma del cambiamento di sesso, oltretutto in un’epoca in cui questo non si poteva nemmeno pensare esistesse, scientificamente e soprattutto socialmente, ad un semplice dramma matrimoniale. Non che ciò non vada bene in assoluto – il rapporto tra Einar e Gerda probabilmente sarebbe stato la colonna narrativa portante di qualsiasi approccio alla vicenda – ma è l’unico aspetto mostrato in una storia che di convenzionale non dovrebbe avere nulla. Prendiamo ad esempio fondamentale la trasformazione fisica del protagonista: il passaggio da Einar a Lili non è quello da un uomo a una donna, ma da un gentiluomo di inizio ‘900 a gentildonna di inizio ‘900. E’ davvero così facile e, nuovamente, così elegante il cambio di sesso per Hooper? Non c’è scavo psicologico – tutto il dramma interiore è abbandonato alla bontà degli attori, per fortuna bravissimi – non c’è minimamente una zona d’ombra tra le due situazioni, e soprattutto non c’è il problema della pura sessualità in una storia che dovrebbe affrontare soprattutto tale argomento. Il film concilia laddove non dovrebbe conciliare, attenua ciò che non andrebbe attenuato, nasconde in un marasma di bellissime scenografie ciò che invece andrebbe visto. Hooper ha realizzato il film più edulcorato possibile sul tema transgender, destinato ad un pubblico “vecchio” che così rimane molto poco scandalizzato da una vicenda che invece dovrebbe far riflettere sul presente e sul futuro.
Ma sapete quale è, forse, la cosa peggiore? Che quel poco di veramente emotivo presente nel film è trattato con tale insistenza, con tali sottolineature, con le frasi fatte del copione che producono un risultato molto artificiale. E così, non resta che salvare soltanto la splendida colonna sonora di Alexandre Desplat, come sempre una garanzia, la bravura di Alicia Vikander, centro nevralgico del turbamento della storia, e il trasformismo di Eddie Redmayne, che supera nettamente la sua performance in La Teoria del Tutto – ma i due film sono, a tratti, spaventosamente simili – perché oltre al manierismo esteriore abbina stavolta anche lo smarrimento interiore. Sì, pochi elementi da salvare e celebrare per un film che, indubbiamente, ruberà molte prime pagine di siti e giornali: forse questo tema così contemporaneo avrebbe meritato un miglior portavoce.
Emanuele D’Aniello
fonte: BastardiPerLaGloria