Solitamente, quando un grande autore si dedica ad un progetto più commerciale, i suoi fans sono felici ma al tempo stesso sperano che possa tornare quanto prima a progetti meno mainstream, in cui poter rischiare e dare più spazio al proprio talento con maggiore libertà creativa.
Ecco, il rapporto tra Sam Mendes e il franchise di James Bond sta ora mettendo in crisi questo assunto. Non perchè, personalmente, non voglia vedere altri film di Mendes slegati dal mondo di Bond, ovvio che sì, parliamo di un regista che finora non ha sbagliato un solo colpo e dimostrato grande sensibilità in genere molto diversi, ma perchè Mendes ha raggiunto un livello così alto con questa saga che se ci fosse una petizione per fare in modo che tutti i successivi film di Bond siano girati da Sam Mendes, la firmerei immediatamente.
Come avrete quindi facilmente intuito, Spectre è per me una nuova schiacciata vincente. Paradossalmente, il suo vero problema è dover seguire le orme di Skyfall, un film che, a tre anni di distanza e quindi col distacco temporale giusto per rifletterci, appare sempre più come il miglior film della saga cinquantennale. Un’ombra difficile da superare per Spectre, anche perchè, per la sua stessa esistenza, Skyfall è in pratica un film “necessario”, il capitolo che ha decostruito e ricostruito il mito di Bond come mai nessuno aveva fatto al cinema, e lo ha reinserito nei ranghi attuali.
Piuttosto, proprio perchè il film precedente ha fatto tutto il lavoro, con Spectre Mendes porta a compimento la sua operazione, il suo più grande merito: l’aver definitivamente e ottimamente trapiantato il mito di James Bond nel mondo contemporaneo e nel genere dei moderni blockbuster. Come la scrittura del personaggio di Bond, che non è umanizzazione fine a se stessa, ma un saggio cambio di prospettiva – lo vediamo spesso in momenti piccoli e intimi – che rende se possibile ancora più magnetica la sua aura da supereroe, come se indossato lo smoking si trasformasse. Insomma, il mito è fuso col realismo. Spectre infatti è un film di Bond da anni ’60/’70 però perfettamente inserito, e soprattutto perfettamente credibile, nel cinema di oggi. Cancellata nettamente, con pochi complimenti, sia l’era Dalton (i cui due capitoli avevano il difetto di non essere film di Bond) sia l’era Brosnan (i cui film erano tristemente fuori contesto e in cerca perenne d’identità), Spectre si ricollega idealmente alla tradizione originale: rivediamo il team di personaggi di contorno, le battute caustiche, i continui cambi di continente, il ritorno della Spectre stessa, addirittura i gadget folli della sezione Q, e risulta credibile anche rivedere in azione il jetpack. Tra tante citazioni, Spectre è davvero una piccola enciclopedia per Bond nerd, che intrattiene il pubblico attuale e fa felici i fans inossidabili.
Una riflessione però, soprattutto in vista degli inevitabili film futuri, va fatta, prima che sia troppo facile pensarci col senno di poi. Oltre all’azione mozzafiato, oltre all’eclettica fotografia di Hoyte Van Hoytema, davvero camaleontica nei toni e nelle sfumature per i frequenti cambi di paesaggio, oltre alla grandiosa regia di Mendes, che si concede il lusso di aprire un film del genere con un bellissimo piano sequenza (e l’intera apertura a Città del Messico supera se possibile in spettacolo l’incredibile prima scena a Instanbul di Skyfall), a pensarci bene, scesa l’adrenalina e finito il divertimento, Spectre è un film che lascia poco. So benissimo che compito dei film di James Bond è il puro intrattenimento, non è una saga nata per scopi più autoriali, e quindi Spectre non va giudicato con tali aspettative – ammettiamolo, se fosse stato questo film a seguire il deludente Quantum of Solace, ora grideremmo al miracolo – eppure Skyfall aveva raggiunto un’eccellenza tematica importante che riusciva a comunicare qualcosa oltre al divertimento. Mendes ha avuto l’intelligenza di inserire anche in Spectre un tema interessante – il passato che ritorna continuamente, in cui ogni singola morte lascia un profondo segno e conta per il futuro – e del suo egregio lavoro sul mito Bond ho già scritto, ma la necessità di ricostruire la formula classica e rigida dei film di James Bond (inclusa la scelta di un villain fin troppo semplicistico, che la recitazione scolastica di Christoph Waltz non esalta), ha spesso messo in secondo piano tali aspetti più interessanti, e rischia soprattutto di aver messo un freno per i capitolo successivi.
Lo so, non volevo fare il paragone con Skyfall e alla fine l’ho tirato fuori più del dovuto, ma i due film di Mendes, pur con le loro differenze tematiche e strutturali, sono davvero due entità che vanno a braccetto quasi a costruire un unico capitolo. Proprio perchè, come detto, Mendes non può dedicarsi a vita a questa saga, per quanto Spectre mi sia piaciuto e secondo me rappresenti uno dei migliori blockbuster recenti, e per quanto divertirà il pubblico generale e farà felici i fans più esperti, deve servire anche come monito per i capitoli successivi: non appiattirsi di nuovo sulla formula facile ma, rimanendo sempre fedeli alla tradizione del personaggio, continuare a sperimentare e approcciare cose nuove. E questo solo i grandi registi possono farlo.
Emanuele D’Aniello
Fonte: Awards Today