Non c’è alcun dubbio che Angelina Jolie regista sia praticamente indistinguibile da Angelina Jolie persona.
Oltre la patina da star, il suo interesse e attivismo umanitario è noto a tutti. La sua attenzione agli scenari di guerra, e la sua volontà di aiutare i bambini fino ad aprire le porte della propria famiglia, hanno riempito i tabloid oltre misura, spesso a sproposito. Tutto ciò lo ritroviamo appunto nella sua ancor giovane carriera da regista. Scorriamo la sua filmografia: quattro film diretti, tre sono di guerra e di questi due non sono in lingua inglese. Un interesse umanitario e multiculturale che si fa anche coraggio cinematografico.
In tale ottica, non stupisce vedere che il suo quarto e nuovo film sia Per Primo Hanno Ucciso Mio Padre. L’adattamento dell’omonimo libro di memorie della protagonista, che ricorda e racconta la terribile infanzia vissuta nei campi prigionia dei Khmer Rossi dopo la rivoluzione in Cambogia, è il perfetto veicolo per il messaggio artistico e personale della Jolie. Forse, e questo è il punto, fin troppo perfetto.
L’occhio della Jolie regista, già come accaduto con Unbroken, si posa esclusivamente ed eccessivamente sul ritratto chirurgico dei dolori delle conseguenze della guerra. Anche Per Primo Hanno Ucciso Mio Padre finisce per diventare una storia di sopravvivenza, ma ancora una volta è tutto quello che rimane di un film che supera le due ore e quindici minuti di durata.
Un incedere, lento e totalizzante, sul dolore, sul terrore, sulle crudeltà, sull’infanzia annullata dalla guerra.
Per sua e nostra fortuna, quantomeno, lo sguardo è asciutto ed estremamente realistico. Ovvero, lontano dal tocco melodrammatico di Unbroken, dall’insistenza quasi parossistica sui temi trattati. La Jolie, pienamente consapevole del peso della storia raccontata, decide di spogliare il film di ogni orpello formale o sentimentalismo forzato. Al tempo stesso, intelligentemente, azzera la propria imponente ombra glamour e lascia parlare solo il film. Di conseguenza, Per Primo Hanno Ucciso Mio Padre funziona al meglio proprio nel documentaristico racconto delle atrocità commesse in Cambogia.
Dove funziona meno, e quindi come detto lascia soltanto l’aspetto di ricostruzione storica, è nell’impianto drammaturgico. Manca il pizzico di follia che aveva Beasts of No Nation. Mancano le possibilità di fuga sognanti che aveva L’Impero del Sole. Manca il semplice ma fondamentale impatto emotivo con la realtà umana cambogiana. Probabilmente, duole dirlo, anche a causa della scarsa efficacia della bambina protagonista, una ragazzina tenera ma completamente incapace di recitare e trasmettere le necessarie emozioni. Inoltre, giusto sottolinearlo, manca anche il puro impatto visivo, con la regia e la fotografia di Anthony Dod Mantle ingabbiati dalla scelta Netflix, quando al film gioverebbe il fragore del grande schermo cinematografico.
Per Primo Hanno Ucciso Mio Padre è una storia che merita di essere raccontata e ricordata, certamente.
E conferma le buone intenzioni e la serietà nel ruolo di Angelina Jolie regista. La quale, però, non ha ancora maturato l’esperienza (causa anche la ripetitività dei temi dei suoi film) per far fare il salto di qualità ai suoi lavori. Per scardinare, in altre parole, l’essenza cinematografica oltre la ricostruzione scenica.
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Emanuele D’Aniello