Nomadland: un deserto paesaggistico ed emotivo

Nomadland film recensione

Nomadland è la pellicola che ha conquistato più statuette in questa edizione degli Oscar: quella più ambita per il miglior film, ma anche quelle per la migliore regia e la migliore attrice protagonista.

Scritto, diretto, co-prodotto e montato da Chloé Zhao, il film è un adattamento del libro Nomadland – Un racconto d’inchiesta della giornalista Jessica Bruder. 
Nomadland aveva già conquistato sia il pubblico di Venezia 2020 aggiudicandosi il Leone d’Oro sia la giuria dei Golden Globe.

Nomadland, la trama

Dopo il crollo economico di Empire (una città aziendale nel Nevada) e la scomparsa di suo marito, Fern, avendo perso l’affetto più caro della sua vita, carica tutto ciò che reputa necessario per la sua sopravvivenza nel suo furgone e si mette sulla strada.
Senza una meta precisa e alla ricerca di una vita che non rispetti le regole della società tradizionale, la protagonista diventa una nomade dei nostri tempi: una “senzacasa” (houseless) e non una “senzatetto” (homeless), come specifica lei stessa.
Fern esplora la sua terra, gli Stati Uniti, decidendo di fermarsi in alcuni luoghi per fare dei lavori stagionali e incontra chi, come lei, ha optato per “il rifiuto del dollaro”.
Nomadland vede la partecipazione dei veri nomadi Linda May, Swankie e Bob Wells nella veste di guide e compagni di Fern nel corso del suo viaggio.

Campi lunghi, anzi lunghissimi

La regia di Chloé Zhao regala paesaggi mozzafiato, tramonti intensi immersi in una natura meravigliosa.
La regista utilizza campi lunghissimi per mostrare la piccola protagonista che si muove nel deserto, nella tundra o in strada. Nelle inquadrature Fern è quasi sempre minuscola in un mondo enorme e poco popolato.

Chloé Zhao ha dichiarato:

Nell’autunno del 2018, mentre giravo Nomadland a Scottsbluff, Nebraska, vicino a un campo ghiacciato di barbabietole, mi ritrovai a sfogliare Desert Solitaire di Edward Abbey, un libro che mi aveva regalato qualcuno incontrato sulla strada. Sfogliandolo incappai in questo passaggio: “Gli uomini vanno e vengono, le città nascono e muoiono, intere civiltà scompaiono; la terra resta, solo leggermente modificata. Restano la terra e la bellezza che strazia il cuore, dove non ci sono cuori da straziare… a volte penso, senz’altro in modo perverso, che l’uomo è un sogno, il pensiero un’illusione, e solo la roccia è reale. Roccia e sole.

In Nomadland Fern, la protagonista sembra un’illusione, non una donna ma l’ombra della persona che è stata. Frances McDormand sembra essere sempre isolata, smarrita in ambienti disabitati ed esteticamente dirompenti. Nell’immagine copertina scelta per questo articolo, per esempio, Fern si mimetizza totalmente con la natura: non è visibile, è quasi un fantasma. In effetti il soggetto dell’occhio documentaristico della regista e del racconto sembra essere proprio il paesaggio, più dell’essere umano.

Un deserto naturalistico ed emotivo

Nomadland è un deserto emotivo. I paesaggi con scarsità di vita e vegetazione coincidono purtroppo con le scarse sensazioni suscitate nello spettatore dalla protagonista di questa vicenda messa in scena con un linguaggio documentaristico.
Il film è quasi piatto, poco coinvolgente e freddo, come la neve che Fern deve togliere dal suo van per poter riprendere il viaggio. L’interpretazione di Frances McDormand non aiuta a riscaldare, anzi concorre a raffreddare gli animi.

L’unico tepore confortante arriva dai veri nomadi Linda May, Swankie e Bob Wells.

Il voto è tre stelle su cinque.

Valeria de Bari

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Sceneggiatrice, chitarrista, poetessa, pittrice: quello che sogno di diventare da grande. Ops ... sono già grande. Amo la musica (soprattutto il punk, il rock e le loro derivazioni), le immagini-movimento e l'arte del racconto (o come si dice oggi lo "story telling"). La mia vocazione è la curiosità. That's all folks

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