La vera mission impossibile, sinceramente, è capire come questa saga dopo oltre venti anni sia ancora così in salute. Non solo in piedi, insomma, ma capace di sfornare tra i migliori film del genere action negli ultimi anni.
Assistere a Mission: Impossible – Fallout è come essere catapultati in un’altra dimensione temporale. Indietro di decenni, forse, quando Hollywood offriva grandi spettacoli, grandi star, con al tempo stesso la consistenza di un lavoro preso sul serio e la voglia di intrattenere senza fare sconti sulla grandiosità. Certo, per fare questo percorso ha sacrificato un po’ della sua essenza – da piccola storia di spionaggio basata sulla tensione ci siamo spostati alla fanfara globale degli scenari alla Bond movies – ma la forza della saga è sempre stata quella di sapersi rigenerare.
Dopotutto, il primo capitolo era un classico thriller alla Brian De Palma. Il secondo film era un canonico action esplosivo alla John Woo. Il terzo film una caccia al villain di turno con infuso di capovolgimenti alla JJ Abrams. Col quarto film Brad Bird introduceva la tecnologia e gli stunt esagerati che portavano la saga nel territorio blockbuster. E nel quinto film l’autorialità esplodeva con l’atmosfera hitchockiana che Christopher McQuarrie ha saputo dargli.
Insomma, come avrete capito, e come avrete visto nel corso degli anni, la bellezza di Mission: Impossible era approcciare ogni film con un tono e stile differente. Ora con Mission: Impossible – Fallout per la prima volta è confermato il regista del film precedente, e McQuarrie è l’uomo giusto al posto giusto. Cambia ancora registro – questo sesto film è un action purissimo sulla scia del genere anni ’90 – ma ha capito esattamente quali sono i punti di forza su cui spingere.
Prima di tutto, nemmeno a dirlo, Tom Cruise.
Che ormai facciano notizia sono gli stunt pazzeschi che esegue da solo, per quanto sempre folli e sempre più pericolosi con l’età che avanza, è quasi ingeneroso. Tom Cruise è l’anima totale del progetto, il suo impegno è encomiabile e sua energia praticamente contagiosa. Pure per gli spettatori. Immolarsi per Cruise non vuol dire solo conferire realismo ad un film che, per ovvie ragioni, il realismo non sa nemmeno cosa sia. Ma immolarsi vuol dire riconsegnare serietà e credibilità ad un tipo di cinema altrimenti buono solo per i popcorn.
McQuarrie ripaga tanta professionalità con un copione che, suona strano a dirsi, fa recitare Cruise oltre a farlo saltare da un tetto all’altro. Con l’adrenalina sparata a mille non sempre ci riesce, ma almeno all’inizio Mission: Impossible – Fallout cerca di indagare nella psiche del suo protagonista, cerca di farci scoprire e capire il personaggio Ethan Hunt oltre le missioni impossibili da portare a termine. In un gioco metacinematografico per nulla banale, è come se la saga per rigenerarsi, film dopo film, debba logorare via via il suo protagonista. Più la missione è impossibile, più per risolverla Ethan Hunt sacrifica un pezzo di sè. Stanco e preoccupato, consapevole di non poter sempre salvare tutti, Tom Cruise ci regala la prima vera prova drammatica all’interno di una saga che rimane fieramente action. E la regala, come sempre, ad altissimo livello.
L’approfondimento non erode l’intrattenimento, ma certamente lo diluisce. Le quasi due ore e mezza di Mission: Impossible – Fallout alla lunga si fanno sentire e lasciano venire a galla qualche abusato cliché di troppo. Non è compatto e tiratissimo come il precedente Rogue Nation, che rimane probabilmente il miglior film saga. Qui Fallout cerca più la maestosità, e spesso la trova.
Unendo quindi i punti col carisma di Tom Cruise, la presenza scenica di Henry Cavill, l’eleganza di Rebecca Ferguson, abbiamo uno dei migliori film d’azione degli ultimi anni. Se il genere sta vivendo una nuova giovinezza è anche grazie a questa saga che, invece, non ha mai rischiato di invecchiare. La vera missione impossibile, ora, è proseguire su questa strada.
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Emanuele D’Aniello
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