Logan Lucky, i soliti ignoti di Steven Soderbergh

logan lucky

Non sono mai riuscito a rispondere al quesito sul genere cinematografico perfetto. Probabilmente perché una risposta vera, e che metta d’accordo tutti, non esiste. Ma se dovessi provarci, sono convinto che la commedia è quella che ci va più vicino.

La commedia è il genere che ha tutto, e offre tutto allo spettatore, specialmente in un’occasione: quando non si vergogna. Precisamente, quando non si vergogna di far ridere, di essere leggera, di non prendersi sul serio e, di conseguenza, diventare più profonda di tanti altri film fintamente seriosi. Sto parlando della commedia, ma potrei parlare con le stesse parole di Steven Soderbergh.

Questo è un vero e proprio artista, forse uno dei registi più eclettici, capaci, coraggiosi, sperimentali in circolazione, che però rifiuta tale etichetta. Non per paradossale tracotanza o falsa modestia, ma perché è il primo a non volersi prendere sul serio. Il primo a cui piace la leggerezza, e si diverte a crearla. Un regista che sa cosa il cinema può offrire, in tutte le salse possibili. E soprattutto conosce i propri limiti.

Logan Lucky è, pertanto, il prodotto ideale di Soderbergh, quasi la quintessenza del suo credo cinematografico.

Non poteva che esserlo dopo un breve ritiro dalla regia cinematografica, però sempre ricchissimo grazie ad altri fantastici lavori. E non poteva che ripartire proprio da sé stesso, dopotutto Logan Lucky è una versione di Ocean’s Eleven senza glamour, senza metropoli, senza ammiccamenti. Una commedia sulle rapine, ma in realtà in ritratto ironico quanto profondo sulla famiglia. In barba agli snob, in barba alla critica sociale nel preferire una galleria di personaggi sempliciotti e provinciali, fregandosene della ricerca forzata del sentimentalismo.

Solo lui poteva prendere una scena banalissima, solitamente presa in giro come i concorsi di bellezza per bambini, e trasformarla senza orpelli in uno dei momenti più toccanti del cinema nel 2017.

Soderbergh è questo. Uno che fa funzionare un intero cast, anche attori che recitano contro lo stereotipo come Daniel Craig. Uno che riesce a divertire divertendosi in prima persona, cosa di solito rischiosissima. Un autore che conosce lo zeitgeist pop del momento, e lo trasforma nella scena più esilaranti del film. Uno che scrive macchiette, e gli dà tridimensionalità dirigendoli al limite tra l’idiozia pura e la morale sincera dal cuore d’oro.

Probabilmente Logan Lucky non lo troverete in alcuna top ten dei migliori film a fine anno. Il bello è proprio questo: Soderbergh evita la pompa magna, e intanto dà lezione di cinema a tutti gli altri colleghi. La vera rapina del film è saper quando, e soprattutto come, rubare il talento a tanti altri registi ben più acclamati.

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Emanuele D’Aniello

Malato di cinema, divoratore di serie tv, aspirante critico cinematografico.

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