E’ giusto avvisare subito il lettore: anche questa non sarà una recensione che evita di cadere nella trappola di citare, o addirittura paragonare, Life al modello di riferimento Alien. Davvero, è quasi impossibile evitarlo.
Dopotutto, anche se Alien nel 1979 non ha inventato di sana pianta il genere “forma aliena cattiva cattiva che, all’interno di un’astronave, attacca l’equipaggio umano” lo ha portato all’eccellenza e alla definitiva consacrazione, dimostrando che spostare lo slasher horror nella fantascienza è non solo possibile, ma addirittura vincente.
Life, adesso, vive e muore della stessa sostanza con cui è stato concepito e poi amato Alien. Sono tantissimi gli epigoni che hanno seguito l’esempio e si sono ispirati al film di Ridley Scott, ma pochissimi sono stati efficaci e avvincenti quando lo è ora Life.
Il motivo?
Molto semplice: il film di Daniel Espinosa, che non sarà il miglior autore sulla faccia della Terra ma è sempre un solidissimo regista, e questa è già una chiave, accetta la propria essenza di semplice “horror nello spazio” senza alcuna pretesa di ambire alla filosofia o alla scienza, è per tutta la sua durata un pauroso e avvincente film di genere che non devia dalla formula o prova a reinventare qualcosa. E ci crede dal primo all’ultimo secondo.
Concedendosi slanci tecnici che confermano l’assoluta padronanza dei mezzi – parlo del piano sequenza iniziale che, pur senza arrivare al livello di magia di quello visto in Gravity, introduce benissimo i personaggi e la claustrofobica scenografia spaziale in cui si svolgerà tutta la vicenda – e affidandosi al carisma e all’esperienza dei propri attori, che pur senza personaggi particolarmente sviluppati fanno benissimo il loro dovere, Life è il perfetto esempio di un netto e lineare sci-fi horror che intrattiene per tutta la sua durata.
Per una volta, è il caso di affermare che il concetto “non aggiunge nulla di nuovo al genere” non è fondamentalmente un difetto, anzi, ci vorrebbero ogni tanto dei film che capiscono il proprio genere, il proprio ruolo nel panorama cinematografico, e per 100 minuti netti, senza lungaggini o deviazioni inutili, intrattengono e spaventano a dovere.
Life non sarà un nuovo esempio di meraviglia tecnica come Gravity, e non si avvicina alla posizione di Alien nella storia del cinema, ma pur senza ambire a tali traguardi fa molto meglio rispetto a tanti altri film di simili fattura e simile storia. E’ la prova che un film per riuscire deve sapere prima di tutto cosa è e cosa vuole diventare.
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Emanuele D’Aniello