Il film sugli esodati testimonia il momento più oscuro dei lavoratori italiani

L'esodo di Ciro Formisano

L’Esodo tratta un argomento sicuramente scomodo per tutti, probabilmente la più grossa vergogna avvenuta nel mondo del lavoro italiano.

Già questo rende l’Esodo meritevole di interesse, perché non molti si avventurano in questo limbo di infamia istituzionale. Dal mondo della cultura e dagli altri ambiti sociali, non è che ci si sia proprio battuti pubblicamente per sostenere questi cittadini defraudati delle loro certezze.

La storia si sviluppa avendo come sfondo il drammatico fenomeno degli esodati, momento sociale che ha visto la disperazione di migliaia di lavoratori. Nasce dalla ricerca personale di Ciro Formisano, che per tre anni ha seguito le loro vicende frequentandone le manifestazioni per raccogliere  testimonianze. Tra queste ha deciso di  raccontare quella di una donna, narrata senza inutili orpelli nella sua disperata realtà.

La dignità rimane sempre al centro della storia.

Una discesa verticale e improvvisa verso la povertà e l’indigenza, che costringerà la protagonista fino all’estrema scelta di fare l’elemosina. L’Esodo è un film di denuncia che in alcuni tratti sconfina nel documentario sociale vero e proprio. L’elemento centrale del film però non è il fenomeno degli esodati in se, ma la grande dignità con la quale le persone investite da questa barbarie sociale hanno reagito.

Una situazione vissuta quasi come un ingiustificato senso di colpa per la propria condizione. Le vicende personali di Francesca, interpretata da Daniela Poggi, mostrano la quotidianità che comporta una situazione del genere. Un attacco continuo alla propria autostima, l’imbarazzo davanti ai propri cari e la distruzione del proprio tessuto sociale. Il distacco dalla nipote Mary da sempre vissuta con lei, ma che non è in grado di accettare il cambiamento ed il vuoto umano che improvvisamente le si fa intorno.

L’Esodo mostra con chiarezza il cambio di prospettiva di una lavoratrice estirpata dalle sue certezze a sessant’anni, costretta senza preavviso a vedere la società, il paese e le istituzioni, in maniera totalmente nuova e ostile. La forza ostinata di non abbandonarsi alla disperazione cercando in ogni modo di far fronte alla situazione. Sempre nel rispetto di se stessa e dei propri valori personali.

Sperimentare una vita totalmente diversa anche nei rapporti umani.

In questo viaggio nella dimensione dei nuovi poveri, Francesca incontrerà sulla strada diversi personaggi, imparando piano piano a confrontarsi con loro e con la loro personale visione delle cose. Tra questi c’è Peter, il pittore tedesco interpretato da David White che vive a Roma da vent’anni. A lui è affidata la quota in positivo della vicenda, un messaggio di speranza e fiducia nel genere umano, che non viene meno anche quando si avrebbero tutti i motivi per non crederci più.

Simone Destrero nei panni di Cesare, rappresenta invece l’autenticità di quegli incontri di strada che possono essere più sinceri di tanti altri. La zingara interpretata da Rosaria De Cicco è il personaggio meno riuscito, ma non per colpa dell’attrice. Concepito nei dialoghi e nelle movenze quasi come una parte teatrale, risulta un pò avulso dall’aurea neorealista che veste le altre interpretazioni.

Una vicenda che indigna e che potrebbe essere quella di ognuno di noi.

Se lo scopo era quello di indignare le coscienze il film è certamente riuscito. Davanti ad alcune immagini non si può rimanere indifferenti, specialmente pensando che questa situazione non fa parte della storia ma è ancora il quotidiano di cinquemila persone. Lavoratori italiani, traditi in uno dei valori ormai fondamentali solo sulle pagine della costituzione Repubblicana.

Esistenze che quasi si nascondono tra noi con il coraggio di andare avanti, senza mollare di un millimetro quella dignità che in tutti i modi hanno cercato di strappargli da dosso. L’uso della fotografia sui particolari di alcune scene, aiuta a richiamare immediatamente alla memoria il ricordo di una Ministra che in virtù di chissà che, ha cambiato con una firma la vita di 380.000 persone.

Una burocrate che ancora oggi si sorprende di ricevere qualche insulto e che pensava che un piantarello in tv avrebbe risolto tutto. Alla fine l’Esodo rimane come importante testimonianza sociale, di un problema sempre troppo poco trattato in relazione alla sua gravita. Uno scomodo pasticcio Italiano, a cui non è mai stato dato sufficiente risalto. Nemmeno dalla stampa, che come emerge anche dal film, ha sfruttato il fenomeno più per fare del facile giornalismo di pancia che per altro.

Bruno Fulco

Bruno Fulco
Iscritto all’Ordine dei Giornalisti e diplomato presso l’Associazione Italiana Sommelier, da sempre appassionato di enogastronomia come veicolo di scambio e collegamento tra le diverse culture. Viaggiatore entusiasta specie nelle realtà asiatiche e mediorientali. La fotografia completa il bouquet delle passioni irrinunciabili con particolare attenzione al reportage. Ricerca ostinatamente il modo di fondere questi elementi in un unico elemento comunicativo.

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