Il truffatore di Tinder: il documentario Netflix su Simon Leveiv

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Il truffatore di Tinder è un documentario disponibile su Netflix in cui è raccontata la storia di Simon Leveiv alias di Shimon Hayut, israeliano 31enne noto alle cronache proprio come The Tinder Swindler.

Fingendosi il figlio mai esistito di Lev Leveiv, un noto imprenditore che opera nel mercato dei diamanti, il giovane sarebbe riuscito a truffare le donne con cui intratteneva relazioni sentimentali, abbandonandole sistematicamente dopo aver incassato ingenti somme di denaro.

La vicenda

Simon/Shimon era costretto a viaggiare spesso per lavoro (su jet privati). Fingeva di essere un uomo ricco, di avere per questo molti nemici e di trovarsi in una situazione di grave pericolo. Utilizzando il pretesto di dover proteggere la propria identità per motivi di sicurezza e non potendo quindi usare l’ American Express con il proprio nome, l’uomo chiedeva alle donne adescate su Tinder prestiti e assicurava alle sue vittime che avrebbe restituito tutto non appena fosse uscito dalla situazione complicata in cui si trovava.

Il documentario si sofferma sulle testimonianze di tre vittime. La prima è la norvegese Cecile Fjellhoy che racconta di aver incontrato per la prima volta Simon in un hotel di lusso di Londra. Durante quel primo appuntamento rimane semplicemente folgorata da quell’uomo di bell’aspetto, affabile e decisamente ricco.

La ragazza dichiara nel documentario che “uno swipe può cambiarti la vita“. Il match con Simon ha infatti sicuramente cambiato la sua. Cecile, giorno dopo giorno, è stata conquistata dalla gentilezza del truffatore che non lesinava regali, messaggi d’amore e progetti a lungo termine, come la convivenza e addirittura dei bambini.

Quando ho parlato con Simon si è subito creato un legame. Era intelligente, simpatico, elegante. Mi ha chiesto se volevo viaggiare con lui su un jet privato e soggiornare in un hotel a cinque stelle. Poi nel cuore della notte mi ha confessato che aveva bisogno di una cosa… ventimila dollari in contanti

Cecile si è così indebitata con nove banche. Nel corso del documentario scopriamo che la norvegese non è l’unica vittima. Ci sono altre due testimoni che compaiono nel film, ma Simon ha truffato anche altre donne in Finlandia, in Germania e in Olanda. La teoria del docu-film è proprio che l’uomo avesse uno schema preciso sia nelle modalità di adescamento e conquista, sia nel richiedere denaro. Ogni donna conquistata pagava per la vittima successiva. I costosi regali, i viaggi e gli hotel a cinque stelle che venivano interamente offerti da Simon, in realtà erano pagati col denaro che l’uomo era riuscito ad ottenere dalla precedente relazione.

Cecilie Fjellhøy non ci sta e contatta VG, un giornale norvegese che avvia un’inchiesta. Si scopre così che l’uomo è ricercato dalla polizia israelita.

Shimon Hayut è stato infine arrestato in Grecia per essere poi estradato in Israele, dove ha scontato solo 5 dei 15 mesi previsti dalla sua condanna per buona condotta. Per le truffe sentimentali non è mai stato condannato. Oggi è un uomo libero ed a capo di una società di consulenza online. Si dichiara innocente.

La recensione

Felicity Morris dirige il docu-film permettendo allo spettatore di empatizzare totalmente con le vittime. Il documentario inizia proprio con la testimonianza di Cecile, una ragazza come tante, che utilizza Tinder per trovare l’amore della vita.

Lo smartphone sul tavolo che apre il film sembra essere una dichiarazione di poetica. Le parole dei messaggi, le chiamate in entrata, i video e le fotografie scambiate con Simon/Shimon sono interamente a disposizione di chi guarda.

Il truffatore di Tinder è un prodotto figlio del suo tempo e ci mostra in maniera esaustiva quali sono le dinamiche che ricorrono nella costruzione delle relazioni sentimentali. Prima uno swipe, poi un match, in seguito si chatta, si fa una ricerca su Google con nome e cognome e si scoprono delle informazioni utili, infine si fissa un appuntamento in un luogo pubblico, perché è “più sicuro”. Ma nonostante queste precauzioni il documentario suggerisce l’idea che non si è mai abbastanza al sicuro.

Si tratta di un film interessante, perché mette in luce un’inquietante storia vera con molti dettagli ma, per essere etichettato come crime, c’è veramente poca suspense.

Valeria de Bari

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Sceneggiatrice, chitarrista, poetessa, pittrice: quello che sogno di diventare da grande. Ops ... sono già grande. Amo la musica (soprattutto il punk, il rock e le loro derivazioni), le immagini-movimento e l'arte del racconto (o come si dice oggi lo "story telling"). La mia vocazione è la curiosità. That's all folks

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