Hereditary, il male si nasconde sempre dove non credete sia

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Si fa fatica oramai a contare quanti film horror escono ogni anno. Di horror mascherati da film drammatico, o viceversa, ancora di più. Così come quelli a tema possessione demoniaca.

Cosa differenzia pertanto Hereditary dal resto? Innanzitutto, è nel filone del nuovo horror arthouse indipendente, che abbandona il jump scare (o lo riprende solo in piccole dosi) a favore dell’atmosfera, del disagio, dell’eleganza della messa in scena dark, del tema, sbattendo in faccia allo spettatore senza problemi citazioni svariate e un certo autocompiacimento. Un horror che si prende troppo sul serio, di conseguenza? Assolutamente sì. Ma lo fa in maniera chiara, onestissima, talmente onesta da fare tutto il giro del paradosso e diventare quasi coraggioso.

Gli amanti dell’horror, lo sappiamo, non sono felicissimi quando il genere è tradito per “farlo prendere sul serio ai critici”. Eppure Hereditary è quella via di mezzo, d’eccellenza si intende, che può mettere d’accordo tutti.

Dopotutto, vedere Hereditary è davvero un’esperienza. Anzi, due esperienze distinte.

Da un lato, è un puro horror di possessione demoniaca con radici chiare in L’Esorcista e Rosemary’s Baby. Apparizioni, stregoneria, rumori, incubi, tutto il necessario per non far star bene lo spettatore. La regia dell’esordiente Ari Aster indugia a più non posso sull’atmosfera buia che avvolge la storia. Non c’è tanto il timore del colpo ad effetto fine a se stesso, quanto la certezza di essere risucchiati in un vortice di pessimismo. La paura e l’orrore, in Hereditary, si insidiano nelle piccole cose quotidiane, e sono costruite con una escalation di disagio permanente.

Dall’altro lato, invece, Hereditary è prima di tutto e soprattutto un film drammatico puro. Un dramma familiare, per essere ancora più pignoli. Uno studio, attentissimo e perciò ancora più asfissiante, sull’infelicità di una famiglia causata dal lutto, sull’impossibilità di superare una tragedia che travolge tutti comunemente e cambia per sempre gli equilibri interni. Si può quasi dire che Hereditary è davvero un film sull’elaborazione del lutto – grazie a questo la protagonista Toni Collette può avere una recitazione più complessa che non siano solo urli o facce bizzarre – e sui sensi colpi. A tratti, la forza drammatica del dolore umano, umanissimo che traspare dalla vicenda, è quasi insostenibile.

I due lati riescono ad incastrarsi e soprattutto darsi forza vicendevolmente. C’è sicuramente qualche eccesso, cose già viste e una durata eccessiva, ma i difetti non annullano i pregi di Hereditary. L’elemento soprannaturale e gli effetti puramente horror danno ancora più consistenza allo scavo introspettivo nel dolore personale. Dopotutto, il vero horror non è nel credere o meno alle streghe, ma nella nostra vita quotidiana ad ogni angolo, purtroppo.

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Emanuele D’Aniello

Malato di cinema, divoratore di serie tv, aspirante critico cinematografico.

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