Voler nuovamente raccontare al cinema la storia di Moby Dick, senza però affrontarare la sfida di toccare le monumentali e mitiche pagine di Herman Melville, è già di per sè un’operazione piuttosto singolare, e quindi affascinante.
Heart of the Sea: le origini di Moby Dick, racconta infatti la vera storia della baleniera Essex, che che nel 1820 naufragò dopo essere stata attaccata da un grosso cetaceo bianco in aperto oceano, un episodio che fu d’ispirazione a Melville per scrivere il suo celeberrimo romanzo.
Ma dedicarsi direttamente all’episodio originale va letto come una novità oppure come una resa?
Indubbiamente, a prescindere dall’intento, con un approccio simile Ron Howard è l’uomo giusto al posto giusto. Se scorriamo la sua filmografia notiamo una grossa passione per le biografie, per le vere storie umane dietro il mito. Senza citare ora tutti i titoli, basta pensare al suo lavoro precedente Rush, di cui questo nuovo film, più che interessarsi al mito di Moby Dick, sembra quasi una prosecuzione tematica. Pensiamoci bene: se in Rush il cuore del racconto era la rivalità tra i piloti Lauda e Hunt, due volti della stessa medaglia, ora il fulcro della narrazione è ancora una volta la conflittualità tra i capitani Chase e Pollard, che poi diventano una cosa sola nel confronto con la grande balena bianca.
Ma passando dalle piste di Formula 1 ai grandi spazi blu dell’Atlantico, la ricetta e di conseguenza il risultato non può essere lo stesso, perché è il film che, in una grossa metafora metacinematografica involontaria, finisce per scontrarsi proprio col gigantesco mito di Moby Dick.
Ron Howard è da sempre un autore classico, pulito, semplice e lineare, che pur avendo fatto buoni film non ha mai lasciato un grosso segno nel mondo del cinema: non è una colpa perché non è mai stata una sua ambizione, Howard ha sempre preferito il ruolo del semplice narratore, e i suoi risultati li ha ottenuti.
Tale approccio però ora gli si rivolta contro, perché la ricerca della semplicità, e la voglia di non raccontare le pagine di Melville, ma al tempo stesso la consapevolezza di non dover scontentare troppo il pubblico che va al cinema sperando di trovarsi davanti Moby Dick, finiscono pre creare il più classico degli ibridi: Heart of the Sea è un film che, spogliato di temi come l’ossessione e l’epicità dell’avventura, rimane imbrigliato nel genere dei classici disaster movies contemporanei, con un’abbondanza di CGI e colori ipersaturi che cercano di caricare una storia altrimenti vuota.
Non a caso, il framing device della figura del mozzo sopravvissuto che decenni dopo racconta la storia a Melville, non solo è fastidioso nella narrazione, ma finisce per ricordarci costantemente ciò da cui il film vorrebbe costantemente allontanarsi. E così, spettacolare ma privo di personalità, Heart of the Sea rimane solo la storia di una baleniera affondata: un po’ poco, in effetti.
Emanuele D’Aniello