Don’t Worry, ovvero come ho imparato a non preoccuparmi e amare la vita

Don't Worry

Viene da chiedersi, subito dopo aver visto Don’t Worry, come sarebbe stato il biopic di John Callahan sotto altre mani.

Perché Don’t Worry non è il film che si aspetta se si vuol vedere un biopic classico. E qualcosa di classico molto probabilmente uno con la vita, la carriera e la fantasia di John Callahan, non l’avrebbe meritato. Una storia che racconta la vita vera di un fumettista finito sulla sedia a rotelle e perennemente afflitto da problemi di alcolismo avrebbe potuto facilmente, molto facilmente, virare e sprofondare nel sentimentale, nel melodrammatico. Nel patetico, senza giri di parole. Avremmo visto lacrime, sentito urla, assistito alla lotta didascalica per superare le avversità in un crescendo di musica pomposa.

L’inspirational movie banale e noioso Callahan non lo avrebbe meritato. E allora, fortunatamente, c’è uno con la sensibilità di Gus Van Sant. Che adesso non vuol dire intendere Don’t Worry come un film perfetto, non lo è assolutamente. E nemmeno dimenticare i tanti passi falsi del regista negli ultimi anni. Ma Van Sant per questa storia – che aveva nel cassetto da venti anni – ha un occhio ideale, particolare, che quasi pesca nella sua stessa vita di figura eccentrica, in cerca di libertà dalle costrizioni sociali pur convivendo con la normalità (e il suo cinema ugualmente è così).

In sostanza, Don’t Worry è un bel biopic che pur non diventando mai un grande film ha due grandissimi pregi: la non banalità e l’onestà.

Il film non aspira mai a vette agiografiche, e racconta semplicemente la non convenzionalità di un uomo spigoloso. Con salti temporali, frammentazione narrativa, e l’uso delle vignette stesse di Callahan per aiutarci a capire la sua testa, Don’t Worry mostra tutti i difetti del suo protagonista. Non c’è un vero e proprio percorso di redenzione, che avrebbe appunto banalizzato il film, semmai la spinta che fa andare avanti il protagonista è la consapevolezza della bellezza della vita.

La sua creatività, il suo umorismo, il suo spirito satirico sono le armi per celebrare tutto ciò che la vita ci offre. Il suo percorso, dopotutto, non porta Callahan ad essere un uomo migliore, Don’t Worry non è una favola. Lo rende in realtà cosciente di quanto prezioso sia sfruttare il proprio talento, essere gentile col prossimo, chiedere scusa, non buttare al vento ciò che funziona del proprio corpo.

Tale sincerità ed enorme amore verso il protagonista ci permette di far perdonare a Don’t Worry evidenti difetti. Su tutti, un utilizzo a singhiozzo delle vignette (già di per sè non originalissimo dopo averlo visto in American Splendor), uno spreco della presenza di Rooney Mara e Jack Black, la forzata caricatura di certi personaggi, come quello di Jonah Hill, che sembrano più uscire fuori da una striscia a fumetti del vero Callahan che non da una sceneggiatura cinematografica.

Ma fortunatamente Don’t Worry non ha nemmeno la pretesa di essere un grande film: è un atto d’amore, per la vita e per il ricordo di John Callahan, interpretato splendidamente dal solito straordinario Joaquin Phoenix. Un film singolare e sensibile, che di questi tempi è già un qualcosa di rivoluzionario.

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Emanuele D’Aniello

Emanuele DAniello
Malato di cinema, divoratore di serie tv, aspirante critico cinematografico.

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