Creed 2 conferma la mia risposta a quella domanda sul miglior sottogenere cinematografico di sempre. Se me la dovessero rifare, risponderei ancora “i film sul pugilato”.
Davvero, nonostante sia anno dopo anno uno sport in declino, al cinema la boxe è sempre bellissima e soprattutto ricchissima di significato. È coinvolgente per gli spettatori, perché li eccita appagando la loro voglia inconscia e repressa di combattere contro i problemi quotidiani e chissà quali nemici. Una funzione terapeutica che non fa veramente male a nessuno. Ed è creativamente utile per gli autori, perché nessuno sport al cinema racchiude così perfettamente la metafora di caduta e redenzione.
Tutti questi strumenti, sia psicologici sia narrativi, Creed 2 li usa spudoratamente. Non è un film che cerca di ribaltare i cliché, perché i film sul pugilato hanno un template chiarissimo. Non è nemmeno un film che cerca di sorprendere veramente gli spettatori, che possono prevedere quasi tutti gli eventi, soprattutto per come sono scaglionati nella narrazione. E, onestamente, non è nemmeno un film che cerca l’innovazione, e questo si riferisce alla mancanza di Ryan Coogler dal primo film, qui non più regista ma solo produttore. Se nel primo film Coogler cercava di intendere e riprendere la boxe in maniera nuova, in questo sequel siamo di fronte ad un approccio molto più classico.
Ma siamo onesti, Creed 2 non lo si va a vedere cercando l’originalità. E, innegabilmente, il film la consapevolezza di tutto ciò. Sa benissimo di non essere un film innovativo e decide di sfruttare a suo vantaggio non solo i vari cliché del genere, ma soprattutto i punti di forza dei personaggi e della saga stessa. L’eredità di Rocky al cinema, insomma.
Se Creed era un film sulla lotta contro la vita, sulla necessità di abbandonare il passato per abbracciare il futuro, Creed 2 invece quel passato lo recupera per analizzare come gli errori di ieri ricadano sull’oggi. C’è un forte senso di inevitabile predestinazione in Creed 2, un discorso quasi biblico sulle colpe dei padri che ricadono sui figli. Il recupero e reinserimento di Ivan Drago da Rocky IV non è, allora, solo una disperata mossa commerciale come si poteva pensare. Semmai, è forse la scelta azzeccata per analizzare quel senso ciclicità maledetta che pervade l’esistenza umana.
Rocky non riesce a liberarsi dai fantasmi della sua vita. Adonis non riesce a creare una sua eredità perché deve terminare gli “affari” lasciati aperti dal padre. Eppure, paradossalmente avendo meno minutaggio a disposizione, le figure più interessanti, tragiche, perfettamente allineate al tema del film, sono Ivan Drago e suo figlio.
Coloro che all’iniziano sembrano dei classici villain robotici ritirati fuori dal passato per l’effetto nostalgia, in realtà sono il simbolo di tutti gli uomini sconfitti dalla vita. Ivan ha vissuto decenni da esiliato, abbandonato, dimenticato, ancorato ad un pensiero di redenzione che può passare solo attraverso il figlio. Quando, ricordando il match di Rocky IV, afferma “per me è come fosse ieri”, non dice una battuta banale, ma un concetto che racchiude come il tempo si cristallizzi nei momenti brutti e non in quelli belli. Suo figlio Viktor, invece, nell’esilio del padre ci è nato, ed è stato allevato solo col rancore: non conosce una vita al di fuori dello stato di abbandono, non conosce una vita che non sia fare a pugni, perché solo quello sa fare.
Come il padre 30 anni fa, anche lui è una macchina letteralmente costruita da altri, ma costruito così perché non ci sono altre alternative.
Il patetismo e la disperazione di Ivan e Viktor non sono intrisi di malinconia, come per Rocky, o di rabbia come per Adonis. La loro è l’espressione dell’impotenza umana davanti al destino.
Attraverso una storia di padri, madri, figli e addirittura nipoti nel finale, di continui passaggi di testimoni e necessità di un lascito generazionale, Creed 2 guadagna una dignità e profondità che dimostrano nuovamente la potenza emotiva di una saga che oramai trascende l’immaginario collettivo. Rispetto ai primi film c’è meno ispirazione e più rassegnazione, ma ciò la rende se possibile ancora più intimista e universale. Gli uomini combattono e sputano sangue perché non possono mai arrendersi di fronte ai drammi della vita, chi si ferma è perduto. I peccati originali passano ai figli anche attraverso le madri, che qui hanno un ruolo essenziale nella formazione di chi sta accanto. Nel bene e nel male.
Forse Creed 2 ha il difetto di giocare troppo sul sicuro, con la struttura e con la narrazione. Ma raschiando sotto la superficie, il tema dell’eredità umana e l’evidente malessere con cui è analizzato rendono la storia molto più profonda di quanto non appaia. Con etica, orgoglio e esasperazione, il film affronta quello che appare scontato con forza drammatica e cura degli stati d’animo, creando un intenso reticolato cinematografico che conferma l’anima commerciale ma, partendo da quella, scava nell’analisi esistenziale.
Ecco, tra le qualità del genere della boxe al cinema mancava, forse, l’aggettivo “esistenziale”. Solo la saga di Rocky poteva aggiungere anche questo tassello.
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Emanuele D’Aniello