Codice Criminale, l’arte del riciclo facile e veloce

codice criminale

Credo che Codice Criminale sia uno degli esempi massimi a favore del superamento degli archetipi classici di giudizio.

In taluni casi è sinceramente superfluo definire un film bello o brutto. Alla fine di Codice Criminale, probabilmente nessuno potrà infatti dire di aver assistito ad un brutto film. Perché siamo chiari, brutto non lo è. Girato onestamente, scritto prudentemente, recitato sufficientemente. Non c’è entusiasmo, come si evince facilmente dalla scelta degli aggettivi, ma nemmeno disgusto. E’ davvero un onestissimo film senza infamia e senza lode.

Il problema di Codice Criminale non è quindi l’essere brutto o l’essere bello. No, semmai è decifrare proprio il motivo dell’esistenza, la sua utilità nell’ecosistema cinematografico.

Non tutti i film devono essere utili a qualcosa, anche questo è vero. Ma se possibile, nemmeno così lanciati all’acqua di rose e così facili da dimenticare. Il film di Adam Smith, non certo un grande autore, e non per colpa sua già banalissimo anche nel nome e cognome, è una storia di criminali e costrizioni di famiglia già vista e rivista. Abusata fino alla nausea soprattutto nel sottogenere crime britannico, floridissimo da tempo. Non c’è un solo guizzo, né di scrittura o di regia, né estetico o tematico, nel raccontare le vicissitudine di un uomo che vorrebbe liberarsi dai legami paterni che lo tengono avvinghiato ad una dannosa vita criminale, in cui ricade costantemente e volontariamente.

Non c’è mai un salto di qualità, un qualcosa che lo renda differente e unico, un qualcosa che ne giustifichi letteralmente l’esistenza.

Persino l’interessante premessa sociologica, quella di mostrare il mondo dei Pavee, i nomadi irlandesi, è lasciata al contorno. I nostri protagonisti, vita di roulette a parte, potrebbero provenire da qualunque posto. E Michael Fassbender, che pur si impegna come sempre, risulta poco credibile come nomade sporco e ignorante. Mentre Brendan Gleeson ha il compito ancora più ingrato di lottare contro un personaggio composto solo da stereotipi.

Non tutti i film nascono con l’intento di fare o cambiare la storia del cinema, naturalmente. Ma è fuori di dubbio che debbano lasciare qualcosa, quantomeno il ricordo di averlo visto. Ripeto, di Codice Criminale non si può parlarne veramente male, ma forse, cosa peggiore, non lascia proprio la voglia e l’interesse di parlarne affatto.

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Emanuele D’Aniello

Malato di cinema, divoratore di serie tv, aspirante critico cinematografico.

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