M il mostro di Dusseldorf, nell’abisso dell’animo umano

M il mostro di dusseldorf recensione film

Titolo: M il mostro di Dusseldorf
Regista: Fritz Lang
Sceneggiatura: Frtiz Lang, Thea von Harbou
Cast Principale: Peter Lorre
Nazione: Germania
Anno: 1931

Da anni, da decenni, e chissà per ancora quanto altro tempo, i sociologi si interrogano sul significato viscerale di M il mostro di Dusseldorf e sui motivi che spinsero Fritz Lang ad approcciare un terribile fatto di cronaca in quel modo.

E avete letto bene, ho scritto proprio i sociologici, perché questo film è naturalmente una pietra miliare del cinema espressionista tedesco, una perla in cui tutto funziona ed è da conservare e mostrare nelle migliore scuole di cinema per sempre, ma nasconde in sé, in maniera affatto velata, un malessere umano che va al di là delle quotidiane dicotomie tra persone buone e persone cattive.

Lang parte da un nauseante fatto di cronaca reale, ma naturalmente i grandi autori si impadroniscono sempre delle storie per raccontare altro: thriller noir o caccia al serial al killer, M il mostro di Dusseldorf è ovviamente molto di più. E già quel titolo ce lo dici: una semplice “M”, una banalissima e singola lettera per indicare la semplicità, la banalità e il totale anonimato dietro cui possa celarsi un mostro qualsiasi.

Non a caso, più che domandarsi “chi è il mostro?” come un qualunque giallo, a Lang interessa un’altra domanda: cosa è il mostro?

L’assunto essenziale che Lang ci mette davanti è talmente ovvio da far rabbrividire: davanti a noi c’è sempre e comunque un essere umano, carne e ossa, testa e cuore, sentimenti e paure.

Dire quindi che l’allegoria è dietro l’angolo, è quasi inevitabile adesso. Nel celeberrimo ed inquietante monologo finale del mostro nel film, Lang non rappresenta un uomo mosso da chissà quali spinte esoteriche, sarebbe assurdo, semmai cela la primordiale tendenza umana al peccato. Possiamo interrogarci fino a quando vogliamo, chiedere pareri e pensare a conclusioni, cercare di confutare teorie e tirare fuori persino al teologia, provare a smentire gli assunti opposti per cui “l’uomo nasce buono / nasce cattivo”, ma ciò che conta è che non avremo mai veramente le risposte e la nostra essenza rimarrà sempre misteriosamente tendente a fare le cose sbagliate. Siamo oltre pregi e difetti, siamo oltre bene e male, il punto è che ognuno di noi nasconde un crogiolo di perversioni che celiamo in un angolo recondito, ignoto e profondissimo del nostro animo e del nostro subconscio, a cui magari pensiamo senza accorgersene anche se non avremo mai il coraggio di concretizzarlo.

Alla fine a quel punto siamo arrivati: il mostro è l’uomo. Ma ovviamente c’è di più.

Il nostro disgustoso protagonista, nell’atto finale del film, è catturato e processato da una giuria popolare “finta”, composta proprio da altri criminali: anche qui spiegarvi la metafora è quasi pleonastico. Per Lang la colpa non è solo dell’individuo, ma talvolta il vero mostro è la società stessa in cui viviamo.

Chi deve giudicare tali crimini, e soprattutto come si può farlo? Chi si arroga senza pudore e solo con tanta tracotanza il ruolo di giudice, giuria e boia? Tutti noi siamo mostri, tutti noi uomini comuni, tutti quelli che credono di essere migliori degli altri senza guardare in casa propria.

Se quindi l’analisi del film è al tempo stesso antropologica e sociologica, non può mancare quella storica: M il mostro del Dusseldorf è un film tedesco del 1931, il momento migliore per parlare di mostri. Nel solco del movimento espressionista di quegli anni, movimento che Lang ha praticamente reso immortale, il film accusa di mostruosità la società uscita a pezzi dall’esperienza di Weimar, per poi fare ancora un passo ulteriore. Come i grandi autori sanno fare, come i grandi i film fanno, è l’arte la prima sempre ad anticipare e capire i tempi in cui si vive: nelle gesta del mostro, ma soprattutto in quella balorda mandria di assassini e ladruncoli che si fa giudicante, che si appropria senza capacità e moralità dello stato di diritto, M il mostro di Dusseldorf individua l’affermazione delle persone che disdegnano il prossimo, le persone che credono in un’autorità diversa dalla rappresentanza, le persone che ciecamente giudicano il male usando il male, le persone che andranno a votare l’ascesa di Adolf Hitler e stenderanno tappetti all’avanzata del nazismo.

C’è quindi un motivo valido se ci si continuerà ad interrogare sulle cause e gli effetti di M il mostro di Dusseldorf: da un punto di vista storico, sociale e esistenziale, raramente un film ha saputo con così grande potenza raccontare ed analizzare la pura bestialità del mondo in cui viviamo.

3 motivi per vedere il film:

– La recitazione di Peter Lorre, la forza di dirompente delle sue urla, dei suoi gesti e soprattutto dei suoi occhi così evocativi e comunicativi.

– Imparare a conoscere l’apice di un movimento cinematografico influente ma fin troppo dimenticato, l’espressionismo tedesco degli anni ’30.

– Farsi venire i brividi ogni qualvolta si ascolti, alla radio, in tv, per caso, il fischio de Peer Gynt di Edvard Grieg.

Quando vedere il film:

– La sera, non ci sono dubbi: la forma e la sostanza del cinema di Lang meritano il massimo dell’atmosfera possibile.

Emanuele D’Aniello

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Malato di cinema, divoratore di serie tv, aspirante critico cinematografico.

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