“Domani gli uccellini canteranno. . . Su affronti la vita!” “No! Voglio farla finita!”
Titolo: Luce della Città (City Lights)
Regista: Charlie Chaplin
Sceneggiatura: Charlie Chaplin
Cast Principale: Charlie Chaplin, Virginia Cherrill, Harry Myers
Nazione: USA
Anno: 1931
Al giorno d’oggi l’impatto di Charlie Chaplin nel cinema si è un po’ perso, ho spesso questa impressione. Forse perché Chaplin non si è mai compromesso e mai ha accettato compromessi. Forse perché era un testardo diventato addirittura antiquato già negli anni ’30, decidendo di persistere col muto pure dopo l’avvento del sonoro. Forse perché non si è mai vergognato di far ridere, a differenza di altri.
O magari il mio è solo una pretestuosa impressione per dire che nessuno nei decenni successivi ha imparato la lezione di Chaplin e fatto film puri come li faceva lui, come Luci della Città era e sempre sarà. Non è facile definire la purezza di un film, ma se davvero dovessi scegliere un solo titolo nella storia che rappresenta l’essenza vera del cinema – si badi bene, non ho detto il migliore o il più significativo – sceglierei senza ombra di dubbio Luci della Città del 1931. Un film che con una semplicità disarmante fa ridere e commuove, ma soprattutto il motivo di tale scelta è racchiuso in quella indimenticabile scena finale: senza pomposi trucchi estetici, senza estenuanti parole fuori luogo, solo col silenzio e con gli sguardi, e ovviamente col sorriso, Chaplin tocchi i cuori di ogni essere umano. Lo fa con la musica, con la recitazione, col montaggio…..col cinema, appunto.
Dopotutto quando Chaplin decide di realizzare questo film è davvero un uomo contro tutti, un egocentrico in delirio di onnipotenza che decide di fare una scommessa col fato e girare un film muto dopo il boom dei film sonori. In un certo senso sembra il classico “vecchio” che non si rassegna all’avanzare del progresso, ma dall’altro punto di vista, quello della preservazione della purezza del cinema, appare come un novello Don Chiosciotte lanciato verso i mulini a vento. Solo che questa volta i mulini esistono veramente, e Chaplin li abbatte uno ad uno ricorrendo alla colonna sonora, alle gag sonore, ma mai alle parole, dimostrando che il suo vagabondo può funzionare soltanto in un panorama fatto di silenzi. Pensandoci bene è verissimo perché, a differenza di tanti altri personaggi dell’epoca, il vagabondo di Chaplin può esistere effettivamente solo in quello scenario: è una figura muta per scelta, quasi un mimo vedendo come si muove, ed il suo carattere è definito dalle azioni e dai gesti. Il vagabondo è una figura mitica non perché atemporale, in realtà non avrebbe mai avuta la medesima funzione e medesimo effetto in film parlato, ma perché racchiude la semplicità dell’agire umano definito da quel che facciamo.
Purezza quindi, basilare essenza ancora, con Luci della Città si va sempre a parare là in un modo o nell’altro. Non è un ragionamento forzato, Chaplin stesso ce lo dice e sottolinea senza veli: nell’amicizia con un ubriaco prima e con una ragazza non vedente poi, il vagabondo si pone ai margini della società ma soprattutto fuori dalle sovrastrutture, uscendo dall’artefatto e mettendosi a contatto con ciò che dovremmo essere: se l’uomo fosse stato sobrio e quindi impegnato nella routine quotidiana, avrebbe perso tempo con un buffo essere armato di bombetta e bastone? Se la ragazza avesse avuto la vista fin dall’inizio, avrebbe davvero notato quella bizzarra figura in mezzo allo sciame di persone? Il cinema di Chaplin, ponendo l’accento sulle diverse estrazioni sociali, è sempre stato molto politico, ma qui è sicuramente meno politicizzato di quanto poi sarà in Tempi Moderni o in Il Grande Dittatore, eppure l’autore ci ricorda ancora che, forse, sono le categorie sociopolitiche che noi creiamo ad impedire il vero contatto umano, quello necessario a sopravvivere e tirar fuori la parte buona racchiusa (ma potrei dire anche “rinchiusa” con sinistra efficacia) in ognuno di noi.
In questa sua umanità, ottimista ma profondamente seriosa, un approccio sempre difficile da realizzare, forse Chaplin è stato un po’ perso nel corso del tempo. Ma vale davvero la pena ritrovare quell’umanità, farla nuovamente nostra, mostrarla agli spettatori di oggi e addirittura nelle scuole. Dopotutto se c’è un film che rappresenta al meglio tutto il genio di Charlie Chaplin, questo è sicuramente il titolo giusto.
3 buoni motivi per vedere il film:
– La già citata scena finale, una sequenza breve che ci rimette in pace col mondo.
– L’incontro di pugilato, una delle migliori sequenze comiche mai sceneggiata da Chaplin.
– Per riscoprire la bellezza di un cinema che non c’è più.
Quando vedere il film?
– Fortunatamente, questo è un film che non dovrebbe conoscere limiti temporali.
Emanuele D’Aniello
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