Fino al 22 agosto al Mattatoio di Roma sarà possibile visitare la mostra dedicata alla 64° edizione del World Press Photo.
Per la prima volta la mostra ideata dalla Fondazione World Press Photo di Amsterdam – di cui vi abbiamo raccontato le precedenti edizioni – è ospitata al Mattatoio. Vi si possono ammirare fino al 22 agosto le 141 foto finaliste del prestigioso premio di fotogiornalismo,
Quest’anno il concorso ha visto la partecipazione di 4.315 fotografi da 130 paesi diversi. I vincitori, selezionati da una giuria indipendente di esperti internazionali, sono 45 fotografi provenienti da 28 paesi.
L’esposizione del World Press Photo 2021 – come le precedenti edizioni – nel suo insieme rappresenta un documento storico che permette di rivivere le storie che caratterizzano la contemporaneità nelle sue molteplici sfaccettature.
Secondo la direttrice esecutiva della Fondazione, Joumana El Zein Khoury, “le immagini, le storie e le produzioni selezionate presentano diverse prospettive di uno degli anni più importanti della storia recente, segnato dall’impatto della pandemia COVID-19 e dei movimenti per i diritti sociali in tutto il mondo. Tra i candidati ci sono storie straordinarie di speranza, resilienza e cambiamento sociale”.
Come era prevedibile e come era stato, infatti, immaginato dal fotografo Fabio Bucciarelli nella conferenza stampa di apertura della mostra dell’anno scorso, quest’anno il concorso ha visto partecipare e vincere moltissime fotografie sulla pandemia che stiamo vivendo.
Anche nella sezione “Sport” sono presenti foto singole e progetti a lungo termine i cui temi e soggetti sono interconnessi con la pandemia da Covid-19 che condiziona le nostre vite dall’inizio del 2020. Infatti, più di un’immagine immortala atleti che hanno dovuto trovare modi creativi e luoghi insoliti per allenarsi quando palestre e piste erano inaccessibili: la banalità del salotto di casa per un corridore senior o una scenografica parete di tronchi tagliati per un arrampicatore libero. Non fanno eccezione neanche i club del bridge, come quello svedese in cui i giocatori si sono allenati protetti da divisori in plexiglas.
La plastica che, pur separando, consente la vicinanza è la co-protagonista anche della Foto dell’Anno 2020, The First Embrace.
Scattata dal danese Mads Nissen, come suggerisce il titolo è la foto di un abbraccio e come si capisce al primo sguardo il contesto è l’immancabile pandemia. Nell’immagine vincitrice, Rosa Luzia Lunardi, di 85 anni, viene abbracciata dall’infermiera Adriana Silva da Costa Souza presso la casa di cura Viva Bem, San Paolo (Brasile), il 5 agosto 2020.
Ovviamente questa è un’immagine iconica del COVID-19, molto emozionante. L’allestimento del Mattatoio a Roma la valorizza pienamente, ponendola solitaria al centro della parete di fronte all’ingresso del padiglione espositivo. Così il visitatore la nota subito e può avvicinarsi direttamente ad essa.
Il fotografo Kevin WY Lee, direttore creativo e membro della giuria del Concorso fotografico 2021, dichiara di averci visto “vulnerabilità, persone care, perdita e separazione, morte, ma, cosa importante, anche la sopravvivenza, tutto racchiuso in un’unica immagine visiva. Se ci si sofferma sull’immagine, si vedranno delle ali: un simbolo di volo e speranza”.
Opinione condivisibile, che spiega la scelta di darle il primo premio. Tuttavia, personalmente, non la ritengo la scelta migliore. Credo che il premio della World Press Photo of the Year debba andare allo scatto che sia, allo stesso tempo, il più bello sul piano estetico e tecnico e quello più rappresentativo di quanto è avvenuto nel mondo durante l’anno. Ora, certamente a The First Embrace non mancano né bellezza né rappresentatività.
Tuttavia, altre fotografie, a mio parere, erano più adatte.
A cominciare da quella di Ralph Pace che immortala un leone marino della California che nuota verso una mascherina e ha vinto il primo premio nella sezione “Ambiente – Soggetti singoli”. Esteticamente perfetta ed evocativa, pone nella stessa inquadratura due catastrofi strettamente legate tra loro: la pandemia da coronavirus e l’inquinamento ambientale, entrambe causate dall’impatto non sostenibile dell’umanità sugli equilibri del pianeta Terra. Bellezza e rappresentatività del tema rendono lo scatto ideale per essere la foto dell’anno del giornalismo 2021.
Discorso analogo potremmo farlo per la foto di copertina di questo articolo, “Fighting Locust Invasion in East Africa” scattata da Luis Tato. Ritrae Henry Lenayasa, capo dell’insediamento di Archers Post, nella contea di Samburu, in Kenya, mentre cerca di spaventare un enorme sciame di locuste che devastano l’area di pascolo, il 24 aprile 2020. Sciami di locuste hanno devastato vaste aree di terra, proprio quando l’epidemia di coronavirus aveva iniziato a mettere in crisi i mezzi di sussistenza. Qui il tema ambientale è più preponderante e di Covid19 non si parla proprio. Ma l’immagine ha un potere ipnotico e, soprattutto, offre un’immagine metaforica dell’essere umano che tenta in modo disordinato e vano di contrastare gli effetti nefasti del cambiamento climatico.
Nominata come Photo of the Year, ha vinto solo il secondo posto.
Chi avrà la possibilità di vedere la mostra del World Press Photo 2021 ripercorrerà le emozioni di questi quasi due anni di pandemia.
Ma troverà anche quest’anno un diario in forma di reportage fotografico di tutto ciò che ha segnato il 2020: dal conflitto tra Armenia e Azerbaijan per il possesso della regione del Nagorno Karabach alla terrificante esplosione nel porto di Beirut il 4 agosto 2020 (per il cui reportage l’italiano Leonardo Tugnoli ha vinto il primo premio nella categoria “Spot News, Storie”); dalle rivolte in Perù a novembre alle proteste del movimento Black Lives Matter negli U.S.A. dopo la morte di George Floyd. Nella sezione “Ambiente” le numerose immagini che raccontano i disastri degli incendi in tutto il mondo sono le più allarmanti, soprattutto se considerate la stretta attualità di questo agosto, in Italia, in Grecia e non solo.
Ma si va ogni anno a vedere la mostra sulle foto vincitrici del World Press Photo anche per scoprire delle storie, un pezzo di mondo e umanità sconosciute da cui lasciarsi sorprendere. Quest’anno vi segnalo il reportage di Ciril Jazbec sugli stupa, coni di ghiaccio costruiti dalla popolazione del Ladach, un deserto freddo dell’India Settentrionale, per immagazzinare l’acqua del disgelo da usare nei periodi di siccità.
La mostra è anche visitabile a Torino a Palazzo Madama, sempre fino al 22 agosto.
Stefania Fiducia