Avete tempo fino al 27 maggio per lasciarvi colpire cuore e testa dalle fotografie vincitrici del World Press Photo 2018 in mostra al Palazzo delle Esposizioni di Roma.
Per visitare la mostra fotografica del World Press Photo 2018 vi consiglio di fare tre azioni di apertura. Prima di entrare al Palazzo delle Esposizioni, aprite la mente, preparatevi a conoscere realtà che ignorate, almeno in parte. Poi – banalmente, visto che siamo davanti a delle immagini – aprite gli occhi. Anzi, se avrete fatto la prima operazione di apertura, li spalancherete proprio, per la meraviglia o per lo sgomento. Infine, aprite il cuore, perché le immagini che vedrete svelano la realtà degli ultimi anni e potrebbero farvi superare alcuni pregiudizi.
A differenza di altre mostre di cui vi abbiamo parlato, come quelle sugli anniversari della fotocamera Leica o dell’agenzia Magnum, qui non vedrete l’aspetto artistico della fotografia. Alla mostra della World Press Photo 2018 ci si va, non solo per ammirare delle belle foto, ma anche per informarsi.
Il premio World Press Photo 2018, infatti, è uno dei più importanti riconoscimenti del fotogiornalismo. Da più di 60 anni la Fondazione World Press Photo di Amsterdam, attraverso una giuria di esperti internazionali, sceglie le migliori tra le immagini inviate dai fotoreporter di tutto il mondo.
Per il 2018 la giuria ha diviso i lavori in otto categorie, aggiungendo quella dell’ambiente.
D’altronde, è un tema inevitabilmente sempre più sentito dai fotografi che fanno della testimonianza la mission principale del proprio lavoro, come Sheila McKinnon, di cui vi ho parlato qualche tempo fa.
Tra i vincitori ci sono anche cinque fotoreporter italiani, anch’essi con fotografie bellissime, ma soprattutto che toccano il cuore e la mente.
Un altro tema trasversale tra le foto premiate è quello della condizione femminile. Sono esposte immagini di alcune donne russe costrette a prostituirsi, ma anche di bambine del Camerun, che vengono sottoposte alla stiratura del seno arrivate alla pubertà, nel tentativo di tenerle lontane da stupri e avances sessuali.
È di una giovane ragazza la foto di uno dei fotoreporter italiani premiati. Lui è Alessio Mamo e l’immagine che ha scattato in un ospedale di Medici senza frontiere in Giordania ve la ricorderete a lungo.
Sono altrettanto memorabili le foto di Fausto Podavini, che ha vinto nella categoria dei progetti a lungo termine con il suo reportage sugli effetti devastanti sull’ambiente e sulla popolazione della costruzione di una diga in Etiopia. O quelle di Francesco Pistilli scattate a Belgrado tra i migranti bloccati alle frontiere lungo la c.d rotta balcanica.
Le foto della World Press Photo 2018 sono, come ci si aspetta, di straordinaria bellezza e tecnica impeccabile. Nonostante molte di esse siano scattate anche in contesti di folla o con soggetti in movimento, questi sono centratissimi e i colori sono saturi.
Nessuno dubita né nasconde che ci sia dietro un lavoro di post produzione, che la severa giuria del Premio della World Press Photo tollera di buon grado. Uniche condizioni che consentono l’editing della fotografia sono il rispetto del codice etico del concorso e il divieto di aggiungere o eliminare parti di una foto.
Tutte le fotografie partecipanti sono sottoposte ad un rigoroso processo di verifica, al fine di garantire l’attendibilità della scena ripresa. Non ci dimentichiamo che con queste foto si deve informare. Le narrazioni visive sono state giudicate in base alla loro capacità di offrire uno spaccato autentico e coinvolgente del mondo in cui viviamo.
A giudicare dalle fotografie vincitrici, esposte alla mostra World Press Photo 2018, l’intento è riuscito.
Come accennavo prima, le immagini di fotogiornalismo esposte nella mostra aprono gli occhi su alcune fette di mondo più o meno sconosciute. Permettono di rivivere gli eventi cruciali del nostro tempo: gli attentati terroristici a Londra, i disastri ambientali, la persecuzione del popolo Rohingya. Ma non mancano nemmeno il fenomeno delle migrazioni, le violente manifestazioni antirazzismo negli U.S.A., i disordini in Sud America.
In questa epoca si può fare buona fotografia non solo con i mezzi classici, come macchine fotografiche analogiche o digitali. L’uso degli smartphone – anche da parte dei fotografi o reporter professionisti – ha reso la fotografia un mezzo di comunicazione a portata di tutti e le immagini fotografiche sono sempre più presenti nelle nostre vite.
Nella ridondanza della produzione fotografica, questa mostra rappresenta uno stimolo per riflettere ancora sulla potenzialità e la funzione, anche sociale e culturale, della fotografia.
Dalla mostra della World Press Photo 2018 al Palazzo delle Esposizioni si può capire che non c’è un’unica verità nel fotogiornalismo, perché molto dipende dall’inquadratura. Anche una foto può mentire.
Per questo diventa indispensabile la credibilità del fotogiornalista, il quale potrà pure scegliere cosa inquadrare; potrà restringere o allargare l’inquadratura; potrà fotografare in digitale e poi postprodurre, in modo da avere colori saturi e assenza di difetti tecnici. Ma non dovrà mai superare certi limiti e togliere allo scatto il rapporto di autenticità con la realtà fotografata.
Per questo motivo, in molti Paesi, se un fotorporter o un giornalista viola le norme etiche, viene espulso dall’ordine o multato. Per la cronaca, non nel nostro.
La mostra, dopo Roma, sarà esposta anche a Milano, Bari e Venezia.
Stefania Fiducia