Un racconto polifonico di Sergio Gaddi ha introdotto due icone americane: Jackson Pollock e Andy Warhol. Il modo migliore per accostarsi alle due mostre che fra pochi giorni saranno inaugurate al Vittoriano.
Nella sala Verdi del Complesso del Vittoriano il poliedrico critico d’arte Sergio Gaddi, lo scorso 24 settembre, ha celebrato il talento di Jackson Pollock e Andy Warhol. mostre vittoriano
Prossimi protagonisti di due attesissime mostre che animeranno la stagione culturale di Roma, Pollock e Warhol sono due artisti unici.
Una lezione suggestiva, declinata in tutte le varie forme dell’arte.
Parole, musiche, immagini e specialmente dipinti. Strumenti che hanno definito i contorni di due autentici miti, differenti per stile e biografia ma uniti dall’impareggiabile genialità e dall’essere pienamente americani.
L’incontro, promosso da Generali nell’ambito della rassegna “I Racconti dell’arte Arthemisia”, è stata una bellissima carrellata non solo su questi due immensi artisti ma anche sulla loro America e su come quel paese sia diventato una superpotenza culturale.
Il primo protagonista di questo incontro è Jackson Pollock.
Definito da Peggy Guggenheim il più grande genio del Novecento insieme a Picasso, Pollock nacque nel 1912 a Cody nel Wyoming, nel pieno di quel mitico West americano.
Massimo rappresentante di quello che fu chiamato action painting (pittura d’azione), Pollock rivoluzionò davvero la pittura americana, imprimendole un carattere e uno stile unico, che travalicò rapidamente i confini nazionali.
Fondamentale nella sua formazione pittorica furono diverse influenze artistiche.
Innanzitutto Picasso e in particolare Guernica.
Quell’immensa tela, la più grande icona sull’orrore della guerra, impressionò oltremodo l’artista americano che fu colpito anche dai muralisti messicani, specie da Diego Rivera, futuro marito di Frida Khalo.
Altri, tuttavia, i pittori che influenzarono Pollock. Non solo, come evidente, la pittura dei grandi surrealisti europei ma anche quella di artisti apparentemente lontani ma in realtà vicinissimi, come, ad esempio, l’ultimo Monet, con il quale le assonanze pittoriche sono davvero stupefacenti.
Tutta la sua esistenza fu legata essenzialmente a una città: New York che, a partire dagli anni Quaranta del secolo scorso, fu indiscutibilmente la capitale della cultura, ruolo che nell’Ottocento era stato ricoperto da Parigi.
La Grande Mela sarà la culla anche di molti altri artisti che daranno vita alla cosiddetta Scuola di New York, di cui Pollock fu uno dei rappresentanti più importanti insieme a nomi celeberrimi come Arshile Gorky, Barnett Newman, Adolph Gottlieb, Willem de Kooning o Mark Rothko, il pittore delle immense tele policromatiche.
Pollock sostituì il cavalletto con il pavimento.
Per lui quella superficie era la più adatta per fissare le sue tele, perché dura, ideale per camminarci intorno, per affrontarla da tutti i quattro lati.
La sua era una pittura istintiva, immediata, se vogliamo violenta, sciamanica, ma mai improvvisata, anche se a prima vista può sembrare tale.
Alla base della sua arte c’è progettazione, ricerca della perfezione. Pollock sottolineava spesso come si sentisse appagato solo se il risultato della sua pittura fosse compiuto, armonico, in linea con quanto immaginato, studiato, ideato.
La pittura di Pollock, come ricorda il critico Gaddi, è «apparentemente senza progetto ma è basata invece su una grande regia, come in fin dei conti la musica jazz, l’altra grande innovazione americana.»
Una vita breve quella di Pollock che si concluse a soli 44.
L’11 agosto 1956 il grande artista americano perse la vita in un incidente stradale a pochi chilometri dalla sua abitazione di Springs. La macchina che guidava uscì fuori strada.
Pollock come al solito era ubriaco.
L’alcool, il suo grande male, che devastò tutta la sua esistenza; il grande vizio americano che segnò non solo la vita di Pollock ma anche quella di altri grandi americani fra cui Hemingway o James Dean, che fece una morta praticamente identica.
Non solo Pollock e i grandi maestri della Scuola di New York nell’incontro con Sergio Gaddi ma anche Andy Warhol.
Nato a Pittsburgh nel 1928, Andy Warhol, nome d’arte di Andrew Warhola, fu una delle massime icone della cultura americana.
Un’infanzia e un’adolescenza segnata dalla povertà che determinerà significativamente la sua ossessione per la ricchezza, per i soldi.
Genio assoluto, capace di influenzare in modo incredibile lo stile americano e non solo, attraverso la Pop Art, di cui Warhol fu l’inventore, oltre che il massimo rappresentante.
Dalle iniziali serigrafie ispirate a celebri prodotti commerciali, intuizione che ebbe in seguito a un consiglio di un’amica di dipingere ciò che vedeva ogni giorno, alle immagini tratte dai mass media. Tutto in ossequio al principio della riproducibilità dell’opera d’arte e dell’arte come prodotto commerciale.
Ma Warhol non fu solo uno straordinario e innovativo pittore.
Fu anche fotografo. Nel suo studio passarono nomi famosissimi che si fecero ritrarre per strappare alla caducità della vita il segreto dell’immortalità.
Si mise anche dietro una cinepresa, realizzando 60 fra lungometraggi e corti. Prodotti unici, caratterizzati da una tecnica che, utilizzando una camera fissa che non veniva mai staccata, di fatto annullava del tutto il montaggio.
Ma Warhol fu anche editore. Suo il celebre magazine “Interview” che diresse fino alla morte e che intervistò in modo assolutamente unico una quantità incredibile di personaggi. “Interview”, autentica creatura di Warhol, si impose nel mondo del gossip, divenendo un punto di riferimento inarrivabile, forgiando uno stile impareggiabile.
Un personaggio a tutto tondo che, fermamente convinto che potesse e dovesse sperimentare qualsiasi cosa, estendo la sua capacità creativa, decise di provare anche con la musica.
Con questi presupposti lanciò nel firmamento musicale i Velvet Underground che, fino a quel momento, erano poco conosciuti fuori della loro ristretta cerchia.
Fu l’ennesimo successo anche per l’idea di Warhol di “imporre” al gruppo la voce della sconosciuta Nico.
Pollock e Warhol, due icone che fra pochi giorni tutti grazie alle due mostre allestite al Vittoriano potranno essere ammirati in tutta la loro grandezza.
Pollock e Warhol, due geni spiegati magistralmente da Giorgio Gaddi attraverso una coinvolgente “lezione” che ha, fra tanti meriti, quello di renderli ancora più immortali.
Maurizio Carvigno