“Il mio impegno è nel tentativo di liberarci per poter uscire e passeggiare liberamente di notte per le strade della mia città, è nel tentativo di accendere qualcosa, che sia rabbia, dolore, frustrazione, di smuovere gli animi e di far comprendere come queste donne non abbiano colpa alcuna”.
Classe 1991, una laurea in pittura, capelli rosso fuoco e un’anima votata alla valorizzazione del ruolo della donna nella società. Attraverso l’arte, ovviamente. E con uno spirito tutto al femminile. Una donna che dà voce alle donne, dalla controversa fisicità alla più raffinata psicologia, per sottolineare i limiti del mondo in cui viviamo, ma ancora di più, per offrire una soluzione, una panacea, uno spunto di riflessione, che lanci all’uomo contemporaneo una fune da stringere per non perdersi nei labirinti del nostro presente. L’abbiamo incontrata alla presentazione di Caleidoscopio, il progetto di street art presso l’ex Manicomio Santa Maria della Pietà, con la sua opera “Ascolto fetale”: è Violetta Carpino, giovanissima artista romana.
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Ascolto Fetale, Caleidoscopio |
La tua opera presenta un corpo di donna incinta con un orecchio sulla pancia. È senza volto e ha le braccia distese: qual è il suo messaggio?
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Violetta fotografata da Federico Aniballi |
Il messaggio è in quello che il fruitore prova, è nella sensazione e nell’energia che la visione di Ascolto Fetale genera nelle anime. Il corpo senza volto diviene qualunque donna, la madre di ogni uomo. Vi è un abbraccio universale, talvolta non del tutto chiaro se maschile o femminile, ma poco importa poiché è un’accoglienza al mondo intero, il dono di un infinito amore senza pretesa alcuna. L’ascolto si personifica nella rinascita, in una gravidanza o in un feto che forse qualcuno intravede. Il tondo d’oro che avvolge la figura rendendola sacra, quasi una Madonna che si mostra nuda al mondo, e poi quella posizione spirituale orientale, che rimanda al buddhismo. Ma no, quello che dico non è vero, se per verità intendiamo un’unica interpretazione più “giusta” di altre, è anzi solo una sintesi delle riflessioni a voci alte dei passanti. Ciò che invece è vero è quello che ognuno di noi vede. Si è gravidi di un’opera ma, nell’istante in cui la si partorisce, questa vive di vita sua, il cordone ombelicale è tagliato, il legame resta ma quella creatura si dona al mondo, con tutti i rischi derivanti dalle incomprensioni; lei muove i suoi passi, semina pensieri, riflessioni e nuove percezioni. Ho dedicato quest’opera a Michelina Passarella e Thomas Saxon Mills, due persone che hanno vissuto il disturbo mentale, l’una ai tempi del manicomio e l’altro ai giorni nostri. Michelina, madre di un caro amico e Thomas, un ragazzo che proprio nei giorni in cui realizzavo l’opera si è tolto la vita. Spero di aver donato loro un po’ di pace e che Ascolto Fetale ci inviti a riflettere.
Cosa c’è stato prima di Caleidoscopio nell’ambito della street art?
Questa è stata la mia seconda esperienza, la prima è avvenuta ad ottobre a Tracce Temporanee, una mostra che ha estremizzato il concetto di arte di strada, dando alle opere una durata vitale di quattro giorni: la location era un cantiere in via di ristrutturazione e tutti gli artisti sapevano dal principio che le opere sarebbero state distrutte non appena realizzate. La mia partecipazione con Le tre età del Femminicidio non era prevista, sono stata coinvolta ad inaugurazione avvenuta, ma ho accettato subito l’invito di Elena Nicolini, data la breve durata vitale dell’opera; dico questo perché trovo che dipingere su un muro visto quotidianamente dal mondo sia una grande responsabilità che prima di allora non ero mai riuscita a prendermi; così, come se fosse una sfida personale, in quell’occasione ho donato parte di me stessa, confrontandomi con la temporaneità dell’opera nel modo più estremo possibile: il mio lavoro terminato ha avuto una durata vitale di un’ora, ma proprio in quella preziosissima ora – che non dimenticherò mai – è avvenuto l’inizio del mio avvicinamento a Caleidoscopio, progetto meraviglioso organizzato da splendide persone.
Le tre età del Femminicidio |
Le tre età appartengono ad una donna che, invecchiando, vive diversi “femminicidi” (anche morali) da parte della società, oppure vogliono individuare e ripercorrere la storia del maltrattamento femminile?
Le tre età del Femminicidio è una preghiera corale che si rivolge a tutte le donne vittime di questo triste fenomeno, poiché non riguarda solo giovani, ma anche adulte e anziane. Nelle tre vagine – la forma delimitante i corpi – sono evidenziati con del rosso i punti della femminilità: il clitoride e la zona pubica. Liberarci significa anche rendere libero il nostro piacere e la sessualità, e a tal riguardo ho realizzato una video-istallazione dal titolo Atto resistenziale, nella quale vi è un’allusione di una reale masturbazione femminile. Con l’avanzare dell’età la donna fiorisce e anziché invecchiare la sua saggezza la conduce alla bellezza suprema. La dolce preghiera ci unisce e ci culla, rivolgiamo loro un pensiero affinché possiamo quotidianamente avere il coraggio di contrastare maschilismi e violenze.
Effettivamente le donne vengono uccise e maltrattate dall’alba dei tempi. Qual è il significato di quest’opera?
Ho sempre lavorato molto su tematiche femminili prima ancora che venisse coniato il termine “Femminicidio”, che denota l’enorme portata di questo drammatico fenomeno sempre più diffuso. Pochi giorni prima che mi venisse proposto di partecipare a Tracce Temporanee avevo appreso della triste uccisione di Giordana Di Stefano, giovane mamma di una piccola di quattro anni, massacrata dall’ex compagno che lei stessa aveva precedentemente denunciato per stalking. Giordana era una di noi, era una donna capitata con l’uomo sbagliato, una giovane che aveva avuto paura, che sentiva il terrore ogni giorno tanto da arrivare a scrivere:
“Ballavo per un disperato bisogno fisico di muovermi,voltarmi, correre…
Ballavo perché il mio corpo doveva scaricare nell’aria circostante violente energie compresse che non sapevo dove mettere, come trattare.
Era una forza misteriosa,silenziosa, completamente padrona di me, della quale non sapevo cosa fare…”
Giordana aveva tentato, aveva denunciato e a poco è servito. L’allerta è altissima, ma concretamente si fa poco per sensibilizzare, l’educazione sentimentale nel nostro paese dov’è? Credo che l’arte non possa cambiare la realtà, che non abbia alcuna conseguenza concreta, ma son certa delle riflessioni che può accendere. L’arte è un potente strumento che tocca l’animo degli esseri umani, quella sfera sensibile che spesso viene protetta, offuscata o peggio ancora dimenticata. Quello che l’Artista fa ha sempre due funzioni, una personale ed una sociale; è chiaro che qualcosa di intimo e personale mi spinga a trattare certe tematiche, ma è altrettanto evidente quanto il patriarcato sia insito nella nostra società, nel nostro linguaggio, nelle nostre azioni.
Tutto quello che facciamo nella vita ha una funzione politica, dunque sì, anche l’arte, persino quella più intima può muovere le coscienze, sollevare gli animi. Il mio impegno è nel tentativo di liberarci per poter uscire e passeggiare liberamente di notte per le strade della mia città, è nel tentativo di accendere qualcosa, che sia rabbia, dolore, frustrazione, di smuovere gli animi e di far comprendere come queste donne non abbiano colpa alcuna.
Ho visto da vicino cosa significa amare profondamente un uomo e lasciare che ci porti via giorno dopo giorno un pezzo di noi, insinuandosi nei nostri pensieri, con una dolce violenza, elegante e raffinata, che non fa rumore inizialmente, e danza, danza senza fine, danza fintanto che le gambe reggano. Ho visto cosa significa perdonare, comprendere e giustificare. Ho visto cosa significa credere di essere sbagliate, di aver indossato una gonna troppo corta, di aver scherzato troppo con quell’amico, di aver messo un rossetto che rende volgari. Ho visto cosa significa pensare di non farcela da sole, credere di poter migliorare quell’uomo tanto fragile, tanto insicuro da picchiarci e subito dopo chiederci scusa. Ho visto la perdita e poi la luce dopo tanto buio. Ho visto cosa significa ricostruire un’anima devastata. Questo è quello che non dimenticherò mai e lo ricorderò sempre, ogni volta che sentirò dire di qualche donna uccisa che se l’era cercata. Inizia sempre tutto con un amore folle, poi pian piano le insicurezze di lui generano piccole restrizioni, e senza che nemmeno ce ne rendiamo conto, veniamo private della nostra vita, siamo completamente dipendenti da lui. Non sono donne sciocche, sono donne che amano, perché all’inizio, quando li conosciamo, sono uomini tali e quali a tante altre brave persone che abbiamo conosciuto.
Affrontare queste tematiche è per me un dovere come donna e come essere umano. Già, perché siamo tutti chiamati a vincere questa battaglia, uomini e donne, insieme, per l’amore. Uomini e donne che educheranno i loro figli e cambieranno questa società. La cultura, dunque la scuola con l’educazione sentimentale, e la famiglia salveranno le nostre creature.
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La nostra è un’epoca di transizione, dove il vecchio è ormai troppo obsoleto e il nuovo è troppo moderno, soprattutto quando si parla di libertà femminile. Nel secolo che ci richiede la perfezione e la bellezza perenne, Violetta Carpino esalta la sacralità della maturità muliebre, sia da un punto di vista anagrafico che spirituale. Persi i lacci di un giogo che è gravato sulle nostre spalle per troppo tempo, ora permangono i segni, il dolore e la consapevolezza. Insieme a loro e all’amaro di tante battaglie perse, bagna il palato quel dolce, inebriante, e irrinunciabile gusto che solo l’indipendenza sa regalare alle papille di una donna.
Alessia Pizzi