La mostra monografica di Ara Güler, al Museo di Roma in Trastevere fino a domenica prossima, espone gli scatti poetici del fotografo turco.
La retrospettiva di Ara Güler in mostra a Roma doveva chiudere a maggio 2020. Ma, dopo la chiusura forzata durante il lockdown, gli organizzatori hanno saggiamente deciso di prolungarla per qualche mese.
Un piccolo risarcimento per gli spettatori, che hanno potuto conoscere questo fotografo turco di origine armena, scomparso a novant’anni nel 2018.
Forse non molto conosciuto al grande pubblico, Ara Güler era annoverato tra i sette fotografi migliori al mondo secondo il British Journal of Photography Yearbook. In più vantava il prestigioso titolo di “Master of Leica”, perché la sua macchina fotografica d’elezione era una Leica.
La mostra monografica fa tappa al Museo di Roma in Trastevere, dopo essere stata esposta a Londra, Parigi, Kyoto e New York. Dopo il 20 settembre 2020 continuerà il suo percorso a Mogadiscio.
Vi sono esposte più di ottanta fotografie in bianco e nero, suddivise in due sezioni, una più affascinante dell’altra.
Una contiene 45 vedute in bianco e nero della città di Istanbul, scattate a partire dagli anni ’50, periodo fondamentale in cui divenne corrispondente per il Vicino Oriente prima per Time Life nel 1956, e poi per Paris Match e Stern nel 1958.
L’altra sezione è composta da 37 ritratti di personaggi importanti del mondo dell’arte, della letteratura, della scienza e della politica.
L’allestimento è piacevole e le fotografie sono accompagnate da una scritta in rosso scritta direttamente sui muri, che indica solo il luogo e l’anno dello scatto. La mancanza di didascalie più descrittive non impedisce di capire pienamente cosa si sta guardando e coglierne la bellezza.
“Io guardo il mondo attraverso una cornice rettangolare, vivo dentro di essa”.
È così che Ara Güler vedeva il mondo: attraverso la griglia della sua macchina fotografica. Poi iniziava a vivere nell’immagine che vedeva e immortalava.
Il fotografo turco viveva dentro la fotografia e ciò trova conferma negli scatti esposti nella mostra al Museo di Roma in Trastevere.
Infatti, dalle immagini di Istanbul trapela il grande amore di Ara Güler per ciò che vedeva, una città che stava scomparendo. Le voleva rendere testimonianza, perché – diceva – “so che non si sarà più e bisogna farla vedere”.
Si resta incantati e immalinconiti davanti alle poetiche immagini del porto: uomini e ragazzi che guardano il mare e parlano tra loro; barchette e grandi navi.
Ara Güler immortala la gente di Istanbul, per lo più semplice o povera, per strada. Ritrae, soprattutto, tanti bambini, dagli anni Cinquanta agli Ottanta. Questi scatti costituiscono una preziosa testimonianza di un’umanità ormai quasi cancellata dalla memoria.
Anche nella seconda sezione della mostra, dedicata ai ritratti di personaggi famosi, si percepisce il senso della frase “vivo attraverso” una cornice rettangolare.
Da Alfred Hitchcock a Gina Lollobrigida, passando per Sophia Loren o Antonio Tabucchi, tutti sono immortalati in pose dinamiche, originali e peculiari. Sono ritratti che colpiscono per quanto i soggetti sembrano in movimento e divertiti. Si intuisce che, in quel momento ,non si stavano facendo fotografare da Ara Güler, ma stavano vivendo un momento di interazione, di relazione con lui, che viveva nella cornice insieme a loro.
Restano nella mente le fotografie di Dustin Hoffman, di Antonio Tabucchi, di Nazim Hikmet. Ma, soprattutto, colpisce lo scatto di Henri Cartier-Bresson mentre beve il tè, con la macchina fotografica in mano. Associare i due fotografi è inevitabile, per l’uso del bianco e nero, per il racconto di una città attraverso le sue strade e la sua gente. Non è un caso che Ara Güler fu reclutato da Cartier-Bresson per entrare a far parte dell’agenzia Magnum Photos. Probabile sia stato influenzato dal lavoro del maestro, come accadde anche ad Inge Morath, a cui il Museo di Roma in Trastevere ha dedicato una mostra meno di un anno fa.
Infine, nel consigliarvi di vedere la mostra di Ara Güler a Roma, vi segnalo il suo pensiero sulla formazione di base di un fotografo. Secondo lui, infatti, il fotografo non dove limitarsi a padroneggiare la tecnica, ma deve conoscere anche di pittura e teatro, perché “la fotografia è una questione di cultura”. Non posso che essere d’accordo.
Stefania Fiducia