L’Inganno, a lezione di cinema da Sofia Coppola

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Una semplice premessa tematica. Una singola location. Un cast ridotto all’osso. Nessun effetto artificiale. A malapena 90 minuti senza un milligrammo di grasso narrativo in più.

Questo basta e avanza quando c’è l’idea giusta, attori capaci di realizzarla, e l’abilità di scrivere cinema. Sono gli ingredienti perfetti, insomma, per realizzare un grande film, e L’Inganno lo è a pieno titolo.

È innanzitutto un film atemporale, questo nuovo di Sofia Coppola. È ambientato nella Guerra Civile Americana, ma potrebbe in realtà svolgersi in qualsiasi periodo storico, in qualsiasi locazione geografica. Non conta il dove e il quando, dopotutto i temi affrontati da Sofia Coppola sono da sempre universali e costanti. La sua filmografia, in ogni singolo film, ha esplorato la noia giovanile, l’alienazione, l’isolamento esistenziale, causato da fattori esterni o interiori. L’Inganno, seppur con sfumature che lo rendono diverso da tutti gli altri, parte proprio da quei temi: un gruppo di donne isolate e annoiate, per cui il più grande nemico è la quotidianità.

Viene da pensar subito a Il Giardino delle Vergini Suicide, e non andiamo tanto lontano. Ma la differenza da quel film, e da tutti gli altri, è il modo con cui l’alienazione è ora affrontata. Vediamo rabbia, violenza, egoismo, lussuria, mania, gelosia, elementi che rendono L’Inganno il film più psicologico della regista.

È un film cerebrale, cinico e persino crudele come mai prima d’ora la Coppola ci aveva abituato.

Lavora inizialmente alla testa, perché dobbiamo prima capire cosa ci aspetta. La Coppola prende il mito della caverna platonica e lo ribalta, non facendo uscire l’elemento all’esterno ma introducendo un corpo estraneo in un organismo interno. L’ingresso di un uomo in un gruppo di donne, isolate da troppo tempo, scatena un effetto domino di pulsioni e illusioni, invidie e speranze, sogni e incubi. L’Inganno intelligentemente non gioca mai troppo sull’aspetto erotico, sarebbe troppo facile. Ma è impossibile non percepire una fortissima carica sessuale: se non la vediamo negli atteggiamenti, la respiriamo nell’aria del Sud americano, nelle gocce di sudore dei protagonisti, nei pensieri che si possono leggere senza essere esplicitati.

E poi, inizia a lavorare alla pancia. È una storia letteralmente costruita sui corpi, e L’Inganno non nasconde mai l’aspetto tremendamente fisico. L’uomo non è indipendente a causa di un infortunio fisico, e riesce a riprendere padronanza del proprio io, del proprio genere, solo quando può sfruttare il proprio corpo per lavorare la terra. In mezzo a questi momenti, è soltanto un oggetto che crea sdegno e desiderio. E nell’esplorazione della fisicità rientra naturalmente il punto di svolta.

La Coppola non usa mai la bandiera del femminismo, semmai nella maniera più perspicace possibile ribalta la visione del maschilismo. Se l’uomo è oggetto, fonte di curiosità, le donne con lui sono sia custodi, sia amanti, sia aguzzine. È un continuo gioco di ruoli e di dominio, psicologico e fisico, che non può che concludersi in maniera primordiale.

Non rivelo spoiler, ovviamente. Ma basti dire che non c’è film psicologico senza un buon richiamo a Freud.

Eppure, non è questo il punto. La castrazione metaforica semmai è l’ennesima apertura del pozzo. La Coppola lo sa bene, e non la tira per le lunghe scegliendo un uso hitchockiano della tensione: dopotutto immaginiamo benissimo dove si andrà a parare ed è inutile creare un effetto sorpresa posticcio. Ancora una volta, il film preferisce l’essenziale all’artificiale.

Ciò che conta, allora, sono le cause e gli effetti del gioco. Le conseguenze dell’apertura della caverna platonica. Perché nel nostro quotidiano, beffardamente, tutto va sempre avanti a prescindere dagli episodi, ma non si può far finta che le cose non accadano.

L’Inganno, col suo gusto minimal, con la sua confezione da thriller psicologico, ci restituisce l’essenza degli archetipi umani di uomo e donna. È la natura a dettare legge, sia quella esterna delle paludose foreste del Sud che tengono prigionieri i personaggi, sia quella appunto degli istinti che ci avvicinano agli animali.

Chiudendo il cerchio, la Coppola riesce a tornare alla solitudine. La quale, in taluni rari casi, è l’arma migliore per estraniarsi dalle spinte che attivano le nostre pulsioni più basse e irrazionali.

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Emanuele D’Aniello

Malato di cinema, divoratore di serie tv, aspirante critico cinematografico.

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