Nella deliziosa cornice del teatro Goldoni di Corinaldo, Vittorio Sgarbi ha intrattenuto la platea per oltre due ore con il suo Michelangelo.
Una lunga lectio, una chiacchierata su uno degli artisti più grandi di sempre: Michelangelo Buonarroti. Architetto, pittore, scultore e poeta, la fama dell’artista fiorentino è stata sin dalle sue prime esperienze artistiche riconosciuta come un modello da imitare. Impostando il suo discorso sul genio indiscusso di Michelangelo, Sgarbi racconta la sua produzione, scultorea e pittorica, in ordine cronologico, sottolineandone le grandiose innovazioni, senza tralasciare rimandi e confronti con produzioni otto-novecentesche.
Nelle Marche che tanto ama, lo studioso indaga l’artista di Caprese. Dalla Pietà, passando per il David e i Prigioni, per il Mosé e per la Volta della Cappella Sistina, per giungere infine al Giudizio Universale e al Non-finito, il genio michelangiolesco diventa motivo di riflessione sull’arte e sul bello.
L’arte rinascimentale trova fondamento in quella classica e, cogliendone lo splendore, cresce e prospera dalle sue radici.
L’antico si lega al moderno, si avvinghia e si intreccia così saldamente da non consentire di distingue la fine del primo e l’inizio del secondo. Le rovine dell’antico costituisco il basamento di una nuova maniera di concepire l’arte: il terreno fertile su cui far prosperare un fiore raro.
Non sono mancati momenti più o meno tecnici, da storico dell’arte, nozioni pratiche, fondamentali per comprendere a pieno il successo di un’opera sulle altre. La Pietà, ad esempio, perché è così importante rispetto a un’altra opera dello stesso artista? La novità del tema, la geniale ispirazione alla scuola bolognese, l’interpretazione della vergine, il particolare della naturalezza del braccio del Cristo morto. Tutto viene illustrato mirabilmente.
Quello che resta tuttavia nello spettatore, oltre alla mera lezione d’arte, è un senso di malinconia e di incompiutezza. Quella continuità tra antico e moderno, oramai, non c’è più. Alle rovine del passato, fanno seguito le macerie dell’attualità. Il nuovo, il moderno si innesta prepotentemente su quanto lo ha preceduto e disdegnando di prendere (e apprendere) quanto viene dalle epoche precedenti. Un nuovo senza fondamenta, senza continuità, senza amore del bello.
Rottura, mancanza di stabilità, vertigine. Ecco, uscendo da questa lezione-spettacolo, si avverte in cuor proprio un bisogno di un pellegrinaggio metaforico verso uno dei santuari dell’arte italiana.
Serena Vissani