Spamalot, quel musical stile medievale che unisce Elio ed i Monty Python

Spamalot

Nel 1975 i Monty Python, carichi dei vari successi televisivi, decisero di fare il grande salto verso il grande schermo.

Diressero, scrissero e interpretarono, quindi, la commedia Monty Python e il Sacro Graal: pellicola, nota ai pochi, che si svolge ai tempi di Re Artù e ci narra le vicende del leggendario monarca e dei suoicelebri cavalieri della Tavola Rotonda. Non era però un film come gli altri!

Per chi non li conoscesse, è giusto fare una premessa sui Python.

Questi erano un gruppo di attori inglesi la cui irrisione, sul finire degli anni ’60, irrompe nella quotidianità dei cittadini oltre la Manica attraverso vari sketch che rivoluzionano l’umorismo inglese: distruggono gli schemi ordinari, tramite situazioni bizzarre che capovolgono luoghi comuni; e denunciano temi scomodi, tramite l’utilizzo di un’ironia che mischia varie tecniche di comicità. Una cosa che disturba la morale, ma piace a quella generazione che freme all’idea di parlare chiaro e senza troppi schemi.

Nella pellicola sul Graal, i Python escono definitivamente dagli schemi televisivi e diventano cinema. Onorano il ciclo arturiano, ma distruggendo quell’aria di mito e di kolossal che gli si era creato intorno. In fondo cos’era il Medioevo in Inghilterra? Sporcizia, ignoranza, fango, malattie, credenze e incoscienza: così lo descriveranno i Pyton, prendendo però anche in giro tutto ciò che si crede, o si è fatto credere, appartenere a quelle situazioni.

Per far capire il tono di questa commedia, si pensi alla prima entrata in scena di Artù: giunge al trotto, reggendo con la mano sinistra delle ipotetiche redini, mentre dietro di lui lo scudiero lo segue, sbattendo delle noci di cocco che riproducono il rumore degli zoccoli di un cavallo che non c’è. Una pellicola che riceverà ottime critiche e che darà enorme successo al gruppo.

Nel 2005, quindi trent’anni dopo, il film viene trasformato in musical per Broadway, diventando Spamalot.

Un musical fedelissimo a quell’ironia che voleva non solo deridere l’epoca rappresentata, ma anche il modo di lavorare sui set contemporanei: cosa che a teatro riesce benissimo, se si apporta qualche modifica in più. Nel film le musiche già erano presenti e i costumi erano fedelissimi: con un’aggiunta lì e una modifica qu, il più l’ha aggiunto il pubblico.

Quest’anno, il musical tratto dal film dei Python, sta calcando anche i palchi del nostro paese con una versione in italiano ed ora in scena, fino al 18 febbraio, al Teatro Brancaccio di Roma. Spettacolo che vede la regia di Claudio Insegno e Elio, leader del celebre gruppo musicale, nella parte di Artù. La traduzione e l’adattamento sono di Rocco Tanica, altro storico membro della band; la direzione musicale è di Angelo Racz e le coreografie firmate da Valeriano Longoni.

Spamalot

Con un ensemble di otto componenti (4 uomini e 4 donne), 6 uomini accompagnano il re, dividendosi in più parti, e una sola (mi raccomando ci tiene ad essere tale) Prima Donna.

Il musical italiano segue alla lettera le istruzioni, le coreografie e le canzoni di quello americano.

Non c’è una cosa che dia l’idea di un’iniziativa della produzione italiana. Qualora ci fosse, non si vede; e se si vede, si giustifica con lo spirito dello spettacolo stesso. Pensiamo alla tecnica. Cosa attira di più in un musical, stile Broadway? Canzoni e balli.

Le prime rispettano i tempi e, quando non lo potrebbero fare, rimangono con quello spirito americano. L’esempio migliore viene dall’intramontabile Always Look on the Bright Side of Life: un po’ in inglese e un po’ in italiano, contiene degli ottimi giochi di parole che ben si adeguano al testo e al pubblico di oggi. Le coreografie invece meritano un applauso. C’è ritmo, tecnica e coinvolgimento da parte degli interpreti (cosa non così scontata).

Altro merito sono le scene di Giuliano Spinelli e i costumi di Lella Diaz. Ingredienti che ci fanno respirare quell’aria tipica del palco di Broadway. Fedeli, variegati e variopinti i secondi; tanto maestose e semplici, quanto buie e accecanti le prime.

Spamalot Come sempre, capitolo a parte sono gli attori.

Ognuno interpreta gli stessi personaggi dei corrispettivi americani nella versione Spamalot di Broadway.Tutti bravi e perfetti nei loro ruoli. Applausi doppiamente meritati a Thomas Santu, per la sua versatilità nel cambiare i ruoli e la voce; ad Umberto Noto, per i suoi sguardi e il suo modo di ballare; e a Luigi Fiorenti, per la gestione vocale.

Pamela Lacerenza, nel ruolo della Dama del Lago, si commenta da sola. Si diverte nella parte e nelle acrobazie vocali: il pubblico sente questa passione, oltre che vederla, e l’apprezza.

Stessa cosa vale per Elio.

Non è alla sua prima esperienza in un musical (si pensi a La famiglia Addams) e ha tutta l’aria di essere a suo agio. Chi conosce la sua musica e il suo spirito, non si stupisce del perché sia stato inserito nel cast. Il suo pubblico è abituato ad un’ironia colta e volutamente demenziale: ingrediente di base dello spirito dei Pyton e, quindi, di Spamalot. Si muove, ma non sa ballare bene. I suoi sguardi sembrano seri, mandando messaggi sciocchi. Inoltre, da non sottovalutare, è un cantante. È perciò un perfetto Artù.

Spamalot

È un Musical! Diverso, ma che segue gli stardard. Lungo ma carico di risate, che rendono il tempo più veloce. La tecnica c’è e gli interpreti anche. Il giudizio è perciò scontato: 5 stelle su 5.

 

Francesco Fario

Francesco Fario
Attore e regista teatrale, si laurea in Lettere Moderne a La Sapienza per la triennale, poi alla magistrale a TorVergata in Editoria e Giornalismo. Dopo il mondo del Cinema e del Teatro, adora leggere e scrivere: un pigro saccentone, insomma! Con Culturamente, ha creato la rubrica podcast "Backstage"

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