“Satyricon” è l’imperdibile spettacolo pieno di originalità di Francesco Piccolo e Andrea De Rosa, al Teatro Argentina di Roma fino al 1° dicembre 2019.
Francesco Piccolo porta il “Satyricon” di Petronio ai giorni nostri, scrivendo uno spettacolo coinvolgendo, diretto da Andrea De Rosa.
Petronio nel Satyricon aveva fatto un ritratto memorabile della decadenza dell’impero romano. A loro volta De Rosa e Piccolo vogliono descrivere la decadenza della società contemporanea.
Già nel divertentissimo prologo di questo “Satyricon” ogni spettatore può ritrovare un po’ di se stesso o della propria esperienza.
Tre giovani cercano di “svoltare” la serata, in una conversazione a tre, piena di ripetizioni e battute da teatro dell’assurdo. Uno di loro annuncia che c’è una festa a cui sarebbe bene andare. Ma forse si tratta di una cena in piedi. Perciò, i tre si chiedono chi sia stato il primo ad organizzare una cena in piedi e, quindi, “quando è iniziata la decadenza?”. Da questo momento, lo spettacolo mette in scena la Cena Trimalchionis, da sempre il centro di ogni ragionamento su “Satyricon” e Petronio.
Lo spettacolo è pieno di ritmo, coinvolge e diverte. Da subito, visto che il sipario è già alzato, sorprende la scenografia di Simone Mannino, che ha curato anche i costumi. I colori bronzo e oro la fanno da padrone, colori da festa in un luogo di lusso. Al centro una pedana, su cui siede l’anfitrione – il liberto arricchito Trimalchione, appunto (Antonino Iuorio) – su un water dorato. Un vero e proprio trono, in parte celato da una tenda nera.
Il testo di Francesco Piccolo è arricchito dalla drammaturgia di Andrea De Rosa e dalle coreografie di Anna Redi, visto che i numerosi attori in scena recitano ballando in continuazione.
Questo “Satyricon” è una satira della società contemporanea, raccontata dai protagonisti con ritmo sincopato.
Francesco Piccolo, per omaggiare Petronio, considerando che la grandezza del “Satyricon” è la cronaca del presente, ha deciso di attualizzarlo completamente, ispirandosi ad esso ma allontanandosene.
Ha intuito che la nostra società si sta impoverendo, soprattutto sul piano linguistico. Quindi, ha scelto di scrivere un testo – bellissimo – pieno di elenchi e ripetizioni: dalle pietanze di moda ai luoghi comuni di oggi. Alla festa del “Satyricon” troviamo la generazione che voleva fare la rivoluzione insieme ai giovani contemporanei. Ognuno è sconvolto all’idea di scoprirsi fragile o superficiale. Ci si esprime o con i luoghi comuni oppure con i versi delle canzoni.
Il cibo è spesso al centro della drammaturgia, evidentemente percepito come la vera ossessione della società italiana attuale.
Come ha scritto il regista, “i luoghi comuni ci rassicurano, ci anestetizzano, ma nello stesso tempo ci allontanano dai fatti e dalle persone”.
Il risultato è un testo che cattura lo spettatore, quasi ipnotizzandolo.
“Satyricon” ci descrive benissimo lo smarrimento della società contemporanea, sia mettendola in ridicolo, sia illuminando con tenerezza il dolore e il senso di umanità che si nasconde dietro quello smarrimento.

Il testo di Piccolo è una satira della mondanità di Roma, quindi della sua decadenza. Per una parte del pubblico, avvezzo a vivere la città, lo spettacolo può avere un effetto catartico.
Ad un certo punto un personaggio esprime ciò che ogni abitante di Roma pensa o dice ciclicamente: “mi sono stancata di Roma”. Piccolo ci apre gli occhi e ci spiega perché. Non è facile vivere a Roma: ti distrae, ti diverte e la forza vitale ti lascia e se ne va.
La festa di Trimalchione è come la vita: stanca, ripetitiva, piena di luoghi comuni e rapporti ipocriti. Ma è anche brillante e irresistibile, quindi ti ci abbandoni.
Gli invitati intorno ballano; sono un po’ come l’orchestra del Titanic che continua a suonare finché la nave non affonda del tutto.
Ma la festa è un rito collettivo, in cui tutti siamo uguali e ci sentiamo comunità. Lì, come dice Trimalchione, gli invitati raccontano e dimostrano ciò che hanno fatto nella vita.
Ma si percepisce, allo stesso tempo, come gli autori la considerino una perdita di tempo, che “impesta e ammorbidisce lo slancio vitale”, come dice lo stesso Piccolo.
Certo si potrebbe (o dovrebbe?) andare ad un’altra festa, in un’altra parte di Roma. Ma gli invitati sono indecisi e spaventati dall’idea di sbagliare la scelta. Restano immobili. Evidentemente, troppe opzioni ci rendono ingordi e, alla fine, inconcludenti.
Un testo e una drammaturgia tanto pregnanti quanto difficili non potevano che essere interpretati da attori di grande livello. Hanno dato vita ad un spettacolo di gruppo molto impegnativo sul piano fisico, dove i tempi erano perfetti e non si è vista nemmeno una sbavatura.
Solo un neo ho trovato. Pur non essendo affatto contraria al nudo nell’arte – quindi anche a teatro – purché sia funzionale all’opera, mi sono chiesta se fosse necessaria la nudità integrale di Noemi Apuzzo – bravissima, visto anche il contesto – attrice che interpreta Fortunata, la moglie di Trimalchione.
Forse rappresenta la coscienza collettiva. Ci dice cosa dobbiamo fare e cosa non dobbiamo fare, in maniera convinta, decisa, ma sempre più affranta. La verità d’altronde è nuda. Ma questa interpretazione non ha del tutto dissipato le mie perplessità.
Vi consiglio spassionatamente di vedere “Satyricon”, perché è uno spettacolo sorprendente a cui ripenserete per i giorni a venire. Uscirete dal Teatro Argentina con il suono de “Il vecchio frac” di Modugno nelle orecchie e le parole di Trimalchione nella mente:
“E mentre state a di’ tutte ‘ste fregnacce, la vita se n’è annata”!
Stefania Fiducia
Foto di Mario Spada