Un’interpretazione può essere una semplice interpretazione, ma un’interpretazione suprema della Messa da Requiem di Giuseppe Verdi ti induce a pensare.
La tragedia che stiamo vivendo è una tragedia senza pari. I numeri di questa pandemia ci inducono a pensare al valore della nostra vita ma sono anche un monito per ricordare ciò che sta avvenendo.
La musica ha un potere enorme, cioè quello di farci riflettere, e soprattutto farci capire l’importanza della nostra vita e del senso del ricordo. La Messa da Requiem di Giuseppe Verdi accorre in nostro aiuto, insieme ad una grande interpretazione diretta dal maestro Zubin Mehta.
A capo dell’Orchestra e del Coro del Maggio Musicale Fiorentino, di cui è stato direttore stabile dal 1985 al 2018 ed ora ne è direttore emerito a vita, il maestro indiano ha diretto un’edizione magistrale del capolavoro verdiano il 30 ed il 31 agosto 2020 presso il Teatro del Maggio Musicale Fiorentino.
La Messa da Requiem di Giuseppe Verdi è un’opera che narra dell’uomo. Composto per celebrare Alessandro Manzoni ed eseguito per la prima volta presso la Chiesa di San Marco a Milano il 22 maggio 1874, primo anniversario della morte del grande scrittore, il capolavoro verdiano mette in scena il dolore ma anche la speranza nella preghiera.
Il Requiem di Verdi con Zubin Mehta, una riflessione continua durante l’esecuzione
Il grandissimo Zubin Mehta conosce benissimo questo capolavoro, lo ama e trasmette quest’amore a tutto il suo pubblico. Una carriera straordinaria quella di Zubin Mehta, iniziata nella fine degli anni ’50 ed ancora oggi in piena attività. È un uomo che vive di musica e fa emozionare. La sua visione della Messa da Requiem di Giuseppe Verdi è una riflessione sul sul senso di incertezza e di fragilità dell’animo umano, tanto più importante in una serata come questa, dedicata alle vittime del COVID-19, che aveva tra il pubblico il personale medico che sta combattendo questa tragedia e persone toccate da questa pandemia.
Dall’attacco dell’orchestra e del coro in pianissimo, magistralmente istruito da Lorenzo Fratini, si è sentito il respiro drammatico che Mehta infonde in questa partitura.
Zubin Mehta ha messo in luce i contrasti fortissimi di questa musica, come la potenza espressiva dell’attacco del Dies Irae e degli ottoni del Lux Aeterna.
Vi è una speranza in questa visione? Si, quella di alcuni pezzi di struggente melodia come il Recordare o l’Hostias, attaccato con un vibrato degli archi che ha messo i brividi.
Un cast in linea con il direttore
Tutti quanti erano galvanizzati dalla visione drammatica del maestro: orchestra e coro in forma straordinaria, ma anche un cast vocale che oggi ha pochi confronti: il soprano Krassimira Stoyanova ed il mezzosoprano Elīna Garanča, entrambe dotate da un timbro molto armonioso- La parte maschile vedeva il tenore Francesco Meli, dalla voce limpida e piena di pathos, ed il basso Michele Pertusi, arrivato all’ultimo minuto per sostituire l’indisposto Ferruccio Furlanetto, di grande eleganza e finezza.
Un’esecuzione in cui si è sentita la voglia di emozionare insieme (non è da tutti i giorni vedere un direttore, un’orchestra ed un coro lodarsi a vicenda come in una grande famiglia, come si è visto qui).
Un’esecuzione, dedicata alla Principessa Giorgiana Corsini ed a Mariangela Gabriele, curatrice della sezione Eventi della Fondazione Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, che ci hanno lasciato di recente, che ci ha portato a riflettere sulla nostra situazione attuale ed a trarne le dovute conclusioni; la vita è un tesoro fragile.
Marco Rossi
(Foto di Michele Monasta)
(La recensione si riferisce alla serata del 30 agosto 2020)