La magia di un testo teatrale sublime. La superba interpretazione di Eugenio Allegri. La perfetta regia di Gabriele Vacis. La scenografia semplice ma suggestiva di Roberto Tarasco. Sono alcuni degli ingredienti di Novecento, uno spettacolo che da decenni non smette di incantare.
Dopo I Giganti della Montagna, sul palco del teatro Eliseo di Roma sbarca Novecento, uno dei maggiori successi teatrali degli ultimi trent’anni.
E la parola si fa meraviglia.
Nel settembre 1994 Alessandro Baricco regalò a Eugenio Allegri e a Gabriele Vacis, una storia che, come scrisse nella prefazione al testo teatrale pubblicato da Feltrinelli, «valeva la pena di raccontare.»
Quella storia, dal lontano 27 giugno 1994, giorno del debutto al Festival di Asti, è stata raccontata nei teatri di tutta Italia, raccogliendo gli applausi di più di 200 mila spettatori.
Un monologo che nel 1998 è diventato La leggenda del pianista sull’oceano, capolavoro di Giuseppe Tornatore, con musiche del premio Oscar Ennio Morricone.
Una storia che parla di musica e di mare; di viaggi e di stelle; di racconti sussurrati da una conchiglia accostata all’orecchio.
Sul Virginian, un piroscafo che, con il suo carico di miliardari ed emigranti, fa la spola fra Europa e America, fra realtà e sogno, ogni sera si esibisce un musicista straordinario, che suona una musica mai udita prima.
Lui è Danny Boodman T.D. Lemon Novecento, «il più grande pianista che abbia mai suonato sull’Oceano».
Una leggenda, non solo per come suona, ma anche perché non scese mai dal Virginian per tutta la sua vita.
Sul palco, da quel lontano 1994, questa storia che odora di salsedine, che ha il suono della tempesta e la forza dell’amicizia, ha le parole di Eugenio Allegri.
E lui la racconta in modo unico.
Rigorosamente da solo, l’attore originario di Collegno, da voce al coinvolgente narratore della storia, un trombettista jazz che per sei anni viaggiò sul Virginian, ma anche a Novecento e ad altri personaggi che affollano quella nave che scorre su quel mare nero come il petrolio sotto una luna metallo.
Allegri, come un novello Arlecchino, si muove sul palco leggiadro e irruento, urlando e bisbigliando, facendo ridere e commuovendo.
Domina la scena dal primissimo istante, quando irrompe vestito con un cappotto di cammello e un semplice cappello e inizia a dispensare sogni.
La sua è una recitazione fisica, intensa, ironica, surreale, drammatica e soprattutto musicale.
Eugenio Allegri trasforma le parole del bellissimo testo di Baricco (assolutamente da leggere), in note, in musica.
Le sue piroette vocali sono accordi jazz, spartiti di quella musica che ha il colore della terra, la morbidezza del cotone, l’odore della fatica, la leggerezza dei sogni.
Come un sapiente funambolo Allegri si libra in aria, afferrando parole che poi lascia semplicemente volare. Racconta di come Danny Boodman T.D. Lemon Novecento fu trovato in un angolo della sala da ballo del Virginian.
Era minuscolo, avrà avuto dieci giorni, non di più, e non piangeva.
Stava dentro uno scatolone adagiato sul pianoforte, quel pianoforte che diventerà compagno fedele della sua vita.
E poi, unendo stelle, Allegri dà notizia di come Novecento, nella stessa sala da ballo che lo aveva visto praticamente nascere, incantò con la sua musica per la prima volta.
Lo fece in piena notte, quando la sua nave era a largo delle coste irlandesi.
Suonò davanti a un raffazzonato pubblico composto da alcuni marinai e da uno strabiliato comandante, che, tirato giù dal letto da un garrulo marconista, assistette a quella prima esibizione con indosso la giacca della divisa e i pantaloni del pigiama.
Novecento, che non aveva mai toccato uno strumento musicale, stava «seduto sul seggiolino del pianoforte, con le gambe che penzolavano giù, che non toccavano nemmeno per terra.»
Quel bimbo prodigio divenne adulto e ammaliò ricchi e poveri ma sempre e solo sulla sua nave, su quella che era casa sua.
Perché Danny Boodman T.D. Lemon Novecento dal Virginian non scese mai.
La terra, disse una volta seduto su una scatola di dinamite, era una nave troppo grande, un viaggio troppo lungo, una donna troppo bella, una musica che non sapeva suonare.
A far da cornice a questa magnifica, solitaria interpretazione, una scenografia semplice ma suggestiva.
Un grande telo che si colora di rosso e azzurro e che si veste di mare e pioggia; un piccolo pianoforte sospeso nel vuoto e poi, semplicemente, Eugenio Allegri.
E quando le ultime parole di Novecento vengono fatte librare nell’emiciclo dell’Eliseo e Allegri pronuncia quel laconico «questa volta è finita davvero», gli applausi scrosciano come pioggia in un pomeriggio d’estate.
Il più bel ringraziamento alla magia del teatro, all’unicità della parola.
Novecento sarà in scena al teatro Eliseo di Roma fino al prossimo 18 aprile.
Testo e foto di copertina: Maurizio Carvigno
Foto: Andrea Macchia