In scena al Teatro Argentina fino al 7 maggio la storia dell’eroe profugo che vaga nel Mediterraneo alla ricerca di una terra in cui vivere.
L’Eneide di Virgilio è più di un poema epico, più di un mito greco riadattato per legittimare ed elogiare il potere della gens Iulia e di Ottaviano. Si tratta di un’opera che ha posto le basi del cosiddetto “Mondo occidentale”, perciò viene letta e reinterpretata da secoli.
Enea è l’eroe che fugge dall’assedio di Troia. Ma questo, solitamente, è un dettaglio piuttosto marginale. Di lui si ricorda principalmente quella pietas verso gli dèi, che lo rende cieco servo del proprio destino, o la passione per la regina Didone, accantonata in quattro e quattr’otto per completare la missione finalizzata a fondare Roma. Poche volte, forse, si è pensato a Enea semplicemente come a “un profugo”.
Tale caratteristica non è sfuggita all’autore de Il Viaggio di Enea, che ha letto avidamente il capolavoro virgiliano trovando molte analogie con la storia di suo nonno, un migrante trasferitosi dal Libano in Egitto e poi fuggito in Canada. Da questo incontro privato tra mito e realtà è scaturita, per mano di Olivier Kemeid, la scrittura di una Eneide squisitamente contemporanea, arricchita dalla regia di Emanuela Giordano.
L’eroe che era fuggito dalla patria in fiamme con il padre sulle spalle e il figlioletto in braccio viene visto nella veste di migrante moderno alla ricerca di una terra dove far crescere il figlio.
Il protagonista di Kemeid è senza “santi in paradiso”, ma è altrettanto determinato a trovare la sua pace. Interpretato da Fausto Russo Alesi, Enea resta l’eroe delle pacate riflessioni, affiancato da un più pimpante Acate, bene interpretato da Alessio Vassallo. Ho accolto con piacere la presenza di Creusa (Roberta Caronia) nella storia, troppo spesso adombrata dall’ingombrante storia di Didone nelle rappresentazioni teatrali. Ottima l’interpretazione del testardo Anchise da parte di Carlo Ragone.
Paradossalmente, in questo adattamento, sono degli abbienti signori di colore (Antoinette Kapinga Mingu e Emmanuel Dabbone) a ospitare i profughi bianchi. La stessa Didone, Valentina Minzoni, è un’attrice bianca a sua volta profuga (a differenza della regina cartaginese che accoglie l’Enea epico): questo accentua i sacrifici che compie per proteggere Enea e il piccolo Ascanio prima di essere abbandonata.
La regista inserisce nella storia molti richiami al testo originale, ma non aspettatevi di vedere l’Eneide classica in scena. Questa è la storia dei viaggi in mare per raggiungere un luogo da chiamare “casa”, è la lotta per la sopravvivenza in lande sconosciute, alla ricerca di un lavoro per sfamare la propria famiglia, è una delicata provocazione al mondo in cui viviamo e una forte riflessione su problematiche che – specialmente in Italia – si fanno sentire sempre più forti. Quelle inerenti all’accoglienza di un diverso che fa sempre un po’ paura.
Un’ora e mezza di spettacolo scorre serenamente grazie a qualche interessante espediente per smorzare l’inevitabile gravosità di un tema e di una trama chiaramente non leggerissimi. Gli attori in scena sono omogenei, ho apprezzato molto le battute quasi “corali” tra i compagni di viaggio. Interessante la scenografia, specialmente nella riproduzione delle navi.
Il viaggio di Enea è quindi il viaggio della speranza che compiono tutti i giorni tantissimi emigranti, come lui, nel mar Mediterraneo. Quel mare, che secondo il nonno di Kemeid: È la grande madre della nostra cultura che ci accoglie.
Alessia Pizzi