Ha debuttato al Teatro Quirino di Roma il 6 novembre scorso l’adattamento teatrale di Daniele Pecci de “Il fu Mattia Pascal” con la regia di Guglielmo Ferro.
“Il fu Mattia Pascal” è, come tutti sappiamo, un capolavoro della letteratura italiana. Sicuramente è tra i romanzi più amati di Luigi Pirandello, tra i più emblematici della sua poetica. Non è certo un’opera nata per il teatro. Tuttavia, questo di Daniele Pecci, al Teatro Quirino di Roma fino al 18 novembre non è il primo adattamento teatrale a calcare le scene.
Questa è una premessa importante, per me, vista l’oggettiva difficoltà di portare in scena un testo che è un romanzo e nasce per essere letto. Daniele Pecci, infatti, ha dato miglior prova delle sue capacità con gli adattamenti dell’Enrico V e dell’Amleto di Shakespeare.
La trama è nota. Mattia Pascal (interpretato dallo stesso Daniele Pecci) vive a Miragno, immaginario paese della Liguria. Il padre gli ha lasciato una discreta eredità, che presto va in fumo per colpa dell’amministratore, Batta Malagna (Adriano Giraldi). Per vendicarsi, Mattia ne compromette la nipote Romilda, che poi è costretto a sposare. Si ritrova anche a convivere con la suocera, che lo disprezza. La vita familiare è un inferno e l’impiego è umiliante. In occasione di un viaggio a Montecarlo vince un’enorme somma di denaro e legge per caso su un giornale della sua presunta morte.
Mattia Pascal ha finalmente la possibilità di cambiare vita. Prende il nome di Adriano Melis e comincia a viaggiare.
Si stabilisce a Roma come pensionante in casa del signor Paleari. S’innamora della figlia di lui, Adriana (Marzia Postogna), e vorrebbe proteggerla dalle mire del losco cognato Terenzio. Ma si accorge che la nuova identità fittizia non gli consente di sposarsi, né di denunciare Terenzio, perché Adriano Meis per l’anagrafe non esiste. Architetta allora un finto suicidio per poter riprendere la vera identità. Tornato a Miragno dopo due anni nessuno lo riconosce e la moglie è ormai risposata e con una bambina. Non gli resta che chiudersi in biblioteca a scrivere la sua storia.
Lo spettacolo si apre proprio con Mattia Pascal nella biblioteca, dopo il suo rientro a Miragno. Ripercorre le proprie vicissitudini insieme a Don Eligio (Rosario Coppolino) ,un prete con cui si occupa della biblioteca.
Sono molto belle le scenografie di Salvo Manciagli: altissime e imponenti librerie all’interno di una biblioteca. Gli scaffali si muovono per modificare le quinte a seconda del momento che si sta mettendo in scena.
L’adattamento di Daniele Pecci punta all’essenziale del racconto, come la regia di Guglielmo Ferro.
Lo spettacolo, infatti, è strutturato come un racconto della vita del protagonista. Alla narrazione di Mattia Pascal e don Eligio si alternano scene dialogate.
I dialoghi tra i personaggi sono pochi e lo spettacolo, non è molto dinamico. Soprattutto all’inizio, Il personaggio di Don Eligio è l’unico che dà ritmo ai dialoghi con battute che alleggeriscono il tono drammatico della recitazione di Daniele Pecci, nel ruolo di Mattia Pascal.
Pecci, infatti, interpreta Mattia Pascal in modo molto intenso. Scandisce ogni sua battuta permeandola di sofferenza.
L’adattamento di Pecci e la regia di Guglielmo Ferro sono volutamente tese all’essenzialità del messaggio drammaturgico. Coerentemente, quindi, si è scelta una recitazione lineare al protagonista ma anche agli personaggi,. Questi sono tutti davvero secondari, rispetto a Mattia/Adriano. Tuttavia, come il protagonista, anche loro sono traditi e traditori, vittime e carnefici a seconda del momento della vita.
Ma il personaggio di Don Eligio forse è quello più utile all’adattamento. Interpreta il ruolo di grillo parlante. Con l’ausilio dei dialoghi con lui, Mattia Pascal riuscirà a vedere la propria vita sotto una luce diversa. La conclusione a cui giungono, quindi, sia il protagonista che il pubblico è che si può fuggire, si può cambiare nome e identità. Ma ciò non allontanerà mai del tutto sofferenze e frustrazioni. Non cancellerà mai del tutto le azioni egoiste, opportuniste o malvagie. Non si sfugge mai davvero a se stessi.
Stefania Fiducia