Con il Borghese Gentiluomo, Emilio Solfrizzi ha divertito la platea del teatro Lauro Rossi di Macerata. Tra gestualità mimica e timbrica, tra danza e canto, la commedia di Molière ha concesso al pubblico maceraterese due ore di sano intrattenimento.
Sul palco sono presenti tutti i tipi della commedia dell’arte: dal padrone stolto, al servo astuto per finire al giovane innamorato. Tutti abilmente impersonati dalla compagnia teatrale che, con ritmo calzante, ha assicurato tempi scanditi tra risate e riflessione. La leggerezza della narrazione sposa l’ironia delle interpretazioni raggiungendo il suo apice nelle battute, secche e calcolate, dei vari personaggi.
Lo spettacolo, originariamente composto da 5 atti, è stato ridotto a 2: nel primo, Jourdain (Solfrizzi), è il protagonista indiscusso del palco. Si trova alle prese con i suoi maestri, tutti assunti per procurarsi l’istruzione necessaria per essere accettato dal bel mondo della nobiltà. L’ignoranza, la goffaggine e la superbia del protagonista verranno sempre più messe in mostra a mano che la narrazione procede, in un climax ascendente fino a trovare il suo apice d’ilarità nell’incontro con il maestro di filosofia. Jourdain, inconsapevolmente, arriverà ad emulare il verso di un asino, mentre tenta di imparare le vocali “i” e “o”.
Il secondo atto si allarga e la scena si fa corale. Tutti i meccanismi della commedia entrano in gioco, arrivando a un meritato lieto fine solo dopo continui scambi, equivoci, inganni e beffe tutti rigorosamente conditi dalla furbizia dei vari personaggi. L’insieme è reso ancor più leggero da uno spettacolo dentro lo spettacolo: un intermezzo comico-idilliaco, con satiri e danzatrici, dove ritmo e gestualità si scontrano comicamente con il tema arcardico della rappresentazione.
Le velleitarie aspirazioni di ascesa sociale del protagonista sono tutte anticipate dal titolo ossimorico della commedia.
Da un lato abbiamo la grandezza dell’opera di Molière, in cui trovano un perfetto connubio tutti gli elementi del comico. Dalla beffa al tema del doppio, dall’equivoco al paradosso. Dall’altro la maestria della compagnia, capace di dare timbro, tempo e gestualità ai personaggi. Dando corpo a questi tipi, hanno assicurato sempre, nei tempi dovuti, un affondo finalizzato a procurare la risata nello spettatore.
Principe della serata, oltre che del palco, è stato Solfrizzi che nulla ha risparmiato al suo personaggio, rendendogli pienamente onore. Prestandogli le sue espressioni, la sua gestualità e la sua auto-ironia, lo spettatore ha potuto godere di un protagonista comico sin dalla sua prima entrata in scena. Un riso puro, genuino, di quelli che fanno allo spirito.
Serena Vissani