Alla Sala Umberto arriva “Il Borghese Gentiluomo” di Filippo Dini

Il Borghese Gentiluomo

In principio era Ivanov. A due anni di distanza dalla lunga e fortunata tournée col testo di Cechov, Filippo Dini torna con un nuovo spettacolo di prosa. Il testo messo in scena stavolta è Il Borghese Gentiluomo di Molière.

Per chi frequenta poco il teatro e non sa chi è Filippo Dini, potreste averlo visto nei panni del procuratore Baldi nella serie tv Rocco Schiavone con Marco Giallini. Per chi frequenta ancora meno il teatro e non sa chi è Molière, recuperare almeno Il malato immaginario.

Il borghese gentiluomo è in scena alla Sala Umberto di Roma dal 19 al 29 ottobre. I biglietti sono disponibili su TicketOne. Lo spettacolo è diviso in due atti, un’ora e tre quarti il primo e mezz’ora il secondo. Oltre a curarne la regia, Dini interpreta anche il protagonista, Jourdain. Jourdain aspira a una e una sola cosa: il rango nobiliare. La sua scalata sociale è tutta improntata sulla sua persona, su un certo grado di conoscenze da acquisire così che non s’abbia più nulla da invidiare a chi il sangue blu ce l’ha dalla nascita.

Jourdain è circondato da maestri: di danza, di musica, di scherma e di filosofia.

Il termine giusto per definire le figure che gli gravitano attorno è cialtroni. L’unica ragione che li spinge a frequentare Jourdain è quella di spillargli quanto più denaro possibile. Jourdain non ha un bagaglio culturale o un senso critico propri, dunque si lascia facilmente abbindolare da quella che i cialtroni spacciano per arte o per cultura. Quelli, dal canto loro, non possono certo lasciarsi sfuggire l’occasione di vedere finanziate le proprie creazioni, per quanto discutibili esse siano.

L’adattamento di Dini dell’opera di Molière non si distingue tuttavia per il discorso sulla cultura o sulla nobiltà vera o presunta. Viene mantenuto il carattere di farsa del testo originale, portato alle estreme conseguenze, e dunque tutte le premesse date prima portano alla creazione quasi di una sorta di circo felliniano: costumi, urla, spintoni, anche alcuni momenti di improvvisazione.
Più che a un lavoro sul progressivo sviluppo di una trama, lo spettacolo lavora per gag e siparietti incanalati uno dopo l’altro. Alcuni ben riusciti, altri meno.

Dini compie poi un’altra scelta a livello visivo: con scenografie non particolarmente ricche ma comunque evocative di un certo passato (la prima dello spettacolo fu nel 1670), i costumi e la caratterizzazione fisica dei personaggi è invece decisamente contemporanea. La scelta anacronistica porta ad esempio avere il maestro di musica all’inizio vestito come Jep Gambardella.
Dini stesso fa il suo ingresso in scena con una ricca vestaglia e sotto guantoni da boxe, completo fitness e scarpe da ginnastica. I due sarti (interpretati da due attrici) sembrano accoliti di una setta di Bowie, mentre un’altra coppia di personaggi ha giacche di pelle e occhiali da sole.

Una scelta di questo tipo è potenzialmente interessante, del resto si tratta sempre di una personale rilettura di testi classici.

Se si fosse pigiato meno il piede sull’acceleratore del sopra le righe e si fosse limitata la caratterizzazione a pochi personaggi, sarebbe stato forse ancora più efficace. O, al contrario, aggiornando anche la scenografia e aggiungendo qualche altro ritocco al testo, si poteva proporre il testo come adattato alla contemporaneità. Il rischio con un approccio di questo tipo è che il lavoro rimanga sospeso a metà: con un piede nel testo e le scenografie di Molière, con l’altro in una contemporaneità non meno frivola e incasinata.

Quel che è certo è che il lavoro di Dini nel dirigere gli attori ma soprattutto sé stesso è sopraffino. C’è un’attenzione anche al più piccolo dei gesti o al modo di servire una battuta encomiabile. Qualcuno gli dia un ruolo anche al cinema!

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Emanuele Paglialonga

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