L’Italia come convenzione in “456” di Mattia Torre
I dubbi che Mattia, regista e autore, ci ha lasciato con Migliore, rappresentato da Valerio Mastrandrea, ritornano in scena con un’altra pièce sconcertante.
Comparato al genio del drammaturgo Eugène Ionesco, Torre riesce sempre a portare in luce i lati più oscuri dell’animo umano, e a ribaltare le verità; quello che sembra triste e deprimente si rivela poi straordinario, mentre i desideri comuni più ambiti si polverizzano in nulla.
La scenografia è sempre semplice, tuttavia ricercata nei piccoli dettagli, gli attori sempre in scena, presenti. Un tavolo, alcune sedie, un inginocchiatoio in primo piano. Più indietro una cucina con una pentola che bolle ininterrottamente, il sugo della nonna morta quattro anni prima, “il sugo perpetuo, fine cottura mai”.
Il gioco creato dai protagonisti con la salsiccia appesa sopra al tavolo crea i movimenti di scena continui, la battuta rimbalza ora all’uno, ora all’altro attore.
La luce illumina la nuca dei personaggi e crea un effetto fuori scena e una tensione coinvolgenti.
Come per Migliore, dei bravi attori. Non serve altro.
Dettagli di una famiglia isolata, fuori dal tempo: un cellulare nascosto tra le noci, simbolo di un mondo che deve restare fuori. Sono solo loro la famigghia, unita e solida nel bene e nel male. Padre, madre e figlio sono ignoranti, diffidenti, nervosi, litigano, si odiano.
La volontà di Genesio, il figlio, di andare nella Capitale ne turba momentaneamente gli equilibri, ma viene subito scartata, è troppo pericolosa: “ci sono le blatte, i germi dei bagni pubblici, il mondo è pericoloso, ci sono gli assassini, si mangia male nella stazione!” La trama a tratti comica e violenta nasce dall’idea che l’Italia non è un paese, ma una convenzione, che rappresenti oggi una comunità di individui guidati dalla precarietà, dall’incertezza, la diffidenza e la paura, senza comuni aspirazioni.
La famiglia, che doveva essere il nucleo aggregante, qui diventa cinica e diffidente, quasi ostile, come baluardo della comune arretratezza culturale. “Abbiamo fatto tutte cose” dichiara nel finale l’ospite tanto atteso, ma cosa?
Qual è il desiderio finale di questo padre di famiglia? Quel desiderio per il quale spende tutto il gruzzoletto? Il sogno di una vita, un progetto importante?
Un atto unico, veloce, le battute incalzano e le risate echeggiano nel teatro. E’ divertente nella sua tragicità, dolce e amaro, mi ha coinvolto nonostante le difficoltà del dialetto siciliano.
In scena al Teatro Ambra Jovinelli – dal 7 al 12 febbraio, 456 scritto e diretto da Mattia Torre. Protagonisti: Massimo De Lorenzo, Cristina Pellegrino, Carlo De Ruggieri e con Michele Nani.
Dallo spettacolo è stato tratto l’omonimo sequel televisivo, prodotto da Inteatro e andato in onda su La7 all’interno del programma “The show must go off” di Serena Dandini e il libro “4 5 6 – Morte alla famiglia”, edito da Dalai.
Sara Cacciarini
Gentile Sara Cacciarini, volevo precisare che lo spettacolo 456 di Mattia Torre non è recitato in dialetto siciliano ma è una sorta di dialetto inventato apposta dall’autore per la messinscena, con echi di vari dialetti del sud e anche latineggianti. Tengo a precisarlo perchè è un dettaglio importante dello spettacolo.
Grazie
Salve Eva, Sara Cacciarini non fa più parte della redazione da tempo, ma grazie per la sua preziosa segnalazione.