Cancellare la storia dall’esame di maturità, ha detto lo storico Andrea Giardina, «è stato un grave errore».
Un poeta anni fa cantò: “La storia siamo noi nessuno si senta escluso”.
E invece ad escludere la storia dalla prima prova scritta dell’esame di maturità ci ha pensato il Miur, criptico acronimo che sta per Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, quello che ai miei tempi, nel Pleistocene, si chiamava Ministero della Pubblica Istruzione.
Lo scorso 4 ottobre con la circolare n. 3050, si confeziona il fattaccio.
Il Miur, ipso facto, nelle more delle modifiche dell’esame riguardanti la prima prova dell’esame di Stato, decideva di eliminare la traccia di Storia dalle tipologie previste per la prova d’italiano dell’esame di maturità.
Una decisione sconcertante, presa, oltretutto, senza consultare alcun storico, ma solo dando seguito al documento di lavoro della commissione presieduta dal professor Luca Serianni.
A mio parere una scelta infausta, che fa il paio con quel discutibile percorso di marginalizzazione del’insegnamento della storia nel curriculum scolastico, iniziato con la diminuzione delle ore d’insegnamento negli istituti professionali.
Ma quale è stata la motivazione della cancellazione della traccia di storia?
Geniale: la sceglievano pochi maturandi. Verità incontrovertibile.
Ecco i dati: negli ultimi otto anni meno del 3% dei maturandi ha scelto il tema di storia, una percentuale davvero irrisoria, che rende quei temerari degli alieni.
Ma è un principio assurdo, inconcepibile, inaccettabile.
Sulla base di ciò dovremmo abolire i quotidiani, la percentuale di quelli che li acquista è infima.
Poi, in una sorta di rievocazione di Fahrenheit 451 di Ray Bradbury, dovremmo pensare anche alla soppressione dei libri, visto che i lettori latitano.
D’altra parte la motivazione numerica, mutatis mutandi, è valsa anche a spiegare la prossima cancellazione del canale televisivo Rai Movie.
Ma torniamo alla storia, che è meglio.
In un paese dove questa meravigliosa materia, la base per spiegare tutte le altre, è confinata ai margini dei programmi, la scelta ministeriale appare assolutamente logica.
Nei licei l’insegnamento è ridotto a tre ore settimanali, a detta di molti docenti insufficienti per coprire il corposo programma, per cui se si arriva alla fine alla Seconda Guerra Mondiale è, come si dice, “grasso che cola.”
Nel biennio degli istituti professionali va anche peggio; da quest’anno infatti, l’insegnamento della storia è pari a un’ora a settimana.
E vai con l’ignoranza!
Anni fa, nella trasmissione televisiva L’Eredità, i concorrenti in gara, alla domanda “in quale anno Hitler fu nominato cancelliere” rasentarono il ridicolo.
Dovevano scegliere fra quattro date: 1933, 1948, 1964 e 1979.
La prima concorrente scelte l’opzione 1948. Il secondo, dopo aver scosso più volte la testa, indicò la data del 1964, ma in questo climax di suprema ignoranza, o mi verrebbe da scrivere di “ignoranzità” il meglio lo diede la terza concorrente.
Come Alberto Sordi nei panni di Peppino nell’amaro Lo scopone scientifico, fra le ultime due date rimaste, 1933 e 1979, scelse la seconda.
La conseguenza a questo orrore? Solo grasse risate. Sarebbe stato preferibile reagire come la bellissima Silvana Mangano, l’Antonia della pellicola di Luigi Comencini.
Ma, come si dice, una risata vi seppellirà.
O tempora o mores.
D’altra parte perché permettere ai maturandi nell’atto conclusivo del loro percorso di studi, di approfondire tematiche come il Fascismo, la Resistenza, le Brigate Rosse o la Guerra Fredda?
Le animate proteste degli storici, e non solo, su questa stramba decisione ministeriale non sono certo mancate nei mesi scorsi.
La senatrice Liliana Segre, una donna che ha scritto ma anche subìto sulla sua pelle il peso della storia, ha detto, con la chiarezza che la contraddistingue: «Un esame di maturità senza la storia mi fa paura».
Fulvio Cammarano, presidente della Società per lo studio della storia contemporanea, ha rincarato la dose allargando il discorso all’atteggiamento verso lo studio della storia:
«La trattano come merce d’antiquariato, fuori moda, da accantonare. Ed è pericoloso: la storia fa parte del presente, e senza la consapevolezza di ciò che è accaduto non daremmo un senso alla nostra scena politica e sociale».
Il quotidiano “La Repubblica” ha promosso una raccolta di firme per affermare che “La Storia è bene comune”, appello che ha visto firmare migliaia di italiani tra cui lo scrittore Andrea Camilleri, (forza Maestro non mollare) la stessa senatrice Segre, nonché il grande storico Andrea Giardina.
Sarà stato per la pressione mediatica su tale abolizione, che fra le tracce dello scorso 19 giugno, la Storia cacciata dalla porta, è, seppur timidamente, rientrata dalla finestra, facendo capolino in più di una “proposta”.
Eccola, infatti, comparire nelle proposte A1 e A2 della Tipologia A, e nella proposta B3, della tipologia B e, infine, nelle due opzioni della Tipologia C, (perdonatemi la freddezza dei termini, ma queste sono le attuali classificazioni di quelle che una volta si chiamavano volgarmente tracce).
Semplice volontà del fato o, invece, incoraggiante indizio di ravvedimento?
Ai posteri l’ardua sentenza.
Intanto l’attenzione deve essere massima perché senza memoria storica questo paese rischia grosso.
Ancora la senatrice Liliana Segre che ha rivolto un invito al ministro dell’istruzione Bussetti:
«Non rubiamo la storia ai nostri ragazzi. Ne hanno un immenso bisogno».
In fin dei conti senza la storia difficilmente si diventa uomini.
Un suggerimento provocatorio: per il prossimo anno aboliamo anche eventuali tracce sulla poesia, tanto le poesie non le legge più nessuno.
Ad Maiora.
Maurizio Carvigno