Elena e Camilla. Storia di una famiglia Arcobaleno in Italia (Intervista)

famiglia arcobaleno in italia

Quando ho capito chi fossi realmente e dove mi avrebbero condotto le mie nuove consapevolezze, ho cominciato il mio percorso da attivista. L’unica cosa che mi ripetevo nel tempo, era quella di dover mettere a sevizio le mie capacità e i miei privilegi da donna istruita e provare a restituire alla società l’informazione, la formazione e quella “specie di concetto di normalità” che nel mio vissuto e background familiare, non c’era mai stato. Dovevo e volevo fare la mia parte nel mondo rispetto alla comunità a cui appartengo.

Ma prima, avevo bisogno di “normalizzare” il mio orientamento sessuale a me stessa. E ci sono voluti anni di terapia.  Ho alzato sempre di più il tiro fino a capire chi fossi realmente.

Francesca, 37 (o forse dovrei dire 38) anni, pugliese di nascita, milanese di adozione e fiera omosessuale (e no, non siamo ad una puntata di Ciao Darwin), scrivo per CulturaMente e questo è il momento di utilizzare le mie capacità per raccontare magnifiche esperienze di vita. La mia, magari, ve la racconterò in un altro momento.

Spaccio di Genere: le interviste sul mondo LGBTQIA+

Queste interviste – che in redazione chiamiamo “Spaccio di Genere” – sono innanzitutto storie. Ma non solo. Sono storie appartenenti alla comunità LGBTQIA+, storie di passioni, di dolore, di amore, di lotta, di condanne e di orgoglio.

La storia di Elena e Camilla

Elena e Camilla sono una storia genuina da raccontare: un amore cresciuto nel tempo e nelle distanze, costruito nelle battaglie per i diritti LGBTQIA+ e difeso tra le scale del comune dove vivono.

La loro storia è la storia di tante persone che si sono scelte e si sono amate, una di quelle storie che leggi suoi libri in adolescenza e pensi: “Ah, ma allora esiste sul serio un rapporto così?!”

Una storia che ti dona speranza e ti restituisce quella giusta dose di serenità e felicità.

I loro occhi brillano quando si raccontano e parlano del loro passato ma ancora di più quando parlano di Milo.

La bellezza della condivisione è proprio nei loro racconti.

Ho incontrato Elena, Camilla e Milo in un bar in Porta Venezia e abbiamo chiacchierato un po’. Era uno dei primi caldi pomeriggi milanesi quando il sole fatica a mostrarsi ma ti avverte che la primavera sta per arrivare e tu devi farti trovare pronta. Conosco Elena da qualche anno ma non conoscevo la loro storia.

1Elena, Camilla, raccontateci un po’ di voi…

Ciao! Siamo Elena e Camilla, stiamo insieme da 8 anni e da 7 mesi siamo le mamme del piccolo Milo. Io Elena sono un’educatrice in una comunità di minori e Camilla invece un’insegnante alla scuola secondaria di primo grado.

2Domanda d’obbligo: come vi siete conosciute? 

Ci siamo conosciute frequentando alcune serate LGBT in un locale, Elena faceva la volontaria per l’associazione che le organizzava in quel periodo.

Ci eravamo notate tempo prima anche se Camilla non frequentava assiduamente le serate e per un periodo invece è stata all’estero a studiare architettura. Poi finalmente due timide hanno preso coraggio e una sera si sono parlate! Da quella chiacchierata è cominciata la nostra storia.

3Camilla, tu lavori a scuola, come hai vissuto il tuo coming out? In base alla tua esperienza, credi che la scuola abbia ancora molta strada da fare rispetto all’inclusione di alunni omosessuali, gender fluid o no binary? 

Tieni conto che sono un’insegnante precaria alla scuola secondaria di primo grado, quindi ogni anno o quasi ho cambiato scuola, sul lavoro il coming out é stato ripetuto ogni volta ed è forse l’unico ambito in cui ho fatto un po’più di fatica a farlo (e a rifarlo).

Nel resto della mia vita devo dire che ho avuto coming out molto semplici (seppur fossi già in università quando ho realizzato della mia omosessualità). Ho una famiglia accogliente su cui non ho mai avuto dubbi e lo stesso vale per gli amici o le nuove conoscenze. In ambito lavorativo mi ero fatta più remore, spesso a torto. Per quanto riguarda il tema inclusione potremmo aprire molte parentesi e parlarne per giorni. Diciamo che la scuola è molto più avanti di quello che si pensi, o meglio, lo sono gli alunni.

I professori non sono per nulla formati o informati su temi LGBT, e qualche volta mi è capitato di parlare direttamente con i ragazzi dell’argomento (che poi sono tanti argomenti quindi non si esaurisce mai il tema) perché per qualche motivo emergeva direttamente da loro (talvolta anche per qualche insulto volante che ho sentito in aula). Hanno risposto sempre bene alla possibilità di parlarne ed è emerso quanto in realtà alcuni di loro già sapessero (mentre altri quasi nulla). Ma si può e si deve fare molto di più, soprattutto per l’educazione alle differenze e l’inclusione, che spesso nella pratica degli insegnanti si concentra sulle diverse provenienze degli alunni e sulla disabilità, toccando solo marginalmente altre differenze.

4Elena, la tua esperienza lavorativa ci insegna che la violenza fisica, psicologica, sessuale avviene quasi sempre nelle mura domestiche. Ma non solo. Tu sei mai stata vittima di atti omofobi? Ti va di raccontare? 

Per tanto tempo sono stata “nell’armadio” e solo da adulta ho fatto coming out e iniziato a vivere la mia omosessualità serenamente. Mi è capitato di essere oggetto di insulti o frasi dispregiative quando qualcuno per strada o al parco mi ha visto insieme a quella che allora era la mia ragazza. Avevo circa 20 anni e ricordo che una volta l’avevo accompagnata in stazione e un tizio aveva iniziato a rivolgermi insulti omofobi solo perché ci ha visto abbracciarci e salutarci prima che lei salisse sul treno. Ricordo la mia sensazione di disagio e rabbia di fronte a quella intrusione e anche la paura durante il tragitto da sola nel sottopasso per uscire dalla stazione subito dopo.

Nel corso degli anni sul lavoro mi è capitato di incontrare bambini con un’espressione di genere non conforme e, oltre che a volte notare la rigidità e il disagio di alcuni genitori nei loro confronti, talvolta questo aspetto ha messo in imbarazzo alcuni colleghi non sempre pronti ad affrontare questo tema. Ad esempio banalmente quando nella letterina di Babbo Natale un bimbo chiese giocattoli prettamente femminili. Nel caso specifico di un bambino che ricordo, sono orgogliosa di dire che il resto dei bimbi del gruppo non si è mai permesso di arrecare offesa o usato questa sua diversità contro di lui. Quello che ho cercato di fare nel corso del tempo, anche con un lavoro su me stessa, è di essere un esempio positivo, l’adulto di cui avrei avuto bisogno quando ero ancora nell’armadio.

Le cose nel tempo sono cambiate anche con i colleghi, ci sono un po’ più di strumenti e ora si collabora per una cultura dell’inclusione, l’abbattimento degli stereotipi e l’educazione alle differenze. Quando è nato Milo mi sono assentata dal lavoro per due settimane e al mio rientro ho raccontato ai bimbi che ero stata via tanto tempo perché nella mia vita era successa una cosa meravigliosa ed ero diventata mamma. I bimbi con stupore mi avevano guardato la pancia dicendo “ma tu non avevi un bimbo in pancia!”, al che ho raccontato come fosse nato dalla pancia della mia fidanzata perché ci amiamo tanto. I bambini sanno benissimo che nella vita si può avere un fidanzato o una fidanzata indipendentemente se si è maschi o femmine e per loro era una spiegazione semplicissima e chiara.

5Da qualche mese siete diventate mamme di un bellissimo bambino, Milo. Volete raccontarci la vostra storia?  

La storia del piccolo Milo parte da un desiderio condiviso, da un po’ di tempo ne parlavamo e, quando avevamo finalmente deciso di intraprendere questa avventura, è scoppiata la pandemia. Da un lato ci ha dato la possibilità di fermarci e riflettere per bene, dall’altro ha ovviamente complicato le cose, dovendo noi recarci all’estero. Però siamo partite comunque. L’emozione era tanta, sono stati mesi carichi di desideri, terapie farmacologiche, aerei prenotati all’ultimo momento, fiati sospesi e attese. Poi è arrivata la gravidanza e la nostra famiglia si è allargata. Adesso ogni giorno è una scoperta e non vediamo l’ora di crescere insieme al lui.

6Due donne lesbiche in Italia, come posso fare per diventare mamme?

Due donne lesbiche in Italia apparentemente non possono diventare mamme, o meglio quasi mai sono riconosciute entrambe legalmente come tali. Due donne lesbiche italiane non possono adottare e devono andare all’estero per affidarsi alla procreazione assistita (PMA) che in Italia è preclusa a omosessuali e single dal 2004 (prima si poteva). Poi i bambini nascono e sono figli di entrambe nella quotidianità e nella società reale (quella del contesto in cui si vive). Difficilmente lo sono sui documenti. Nonostante il monito della Corte Costituzionale sul fatto che questi bambini vadano tutelati quanto quelli di coppie eterosessuali, le strade possibili sono due:

-un fortunatissimo riconoscimento alla nascita grazie a qualche sindaco illuminato (sempre più raro dopo alcune sentenze della Cassazione e sempre impugnabile dalla Prefettura essendo un atto pubblico) 

-una lunga e dispendiosa (per soldi ed energia) stepchild adoption. (Precisazione: l’intervista è di qualche mese fa ma con una sentenza di febbraio, la Corte Costituzionale ha riconosciuto il legame tra adottato e nonni della mamma intenzionale) Che però non solo necessità di avvocati, tribunali e assistenti sociali, ma non può essere fatta prima di una certa età del bambino (per dimostrare che lui riconosce la mamma non partoriente come genitore) ed è un’enorme intrusione in cui la coppia deve dimostrare di essere tale, di aver voluto un figlio insieme, di essere riconosciuta come famiglia dagli altri. Il potere è sbilanciato dalla parte della mamma partoriente, che deve essere legalmente d’accordo e potrebbe, magari per una rottura della coppia, escludere totalmente l’altra mamma dalla vita dei figli. Nel frattempo passano anni e, anche qualora alla fine ci fosse una stepchild, è comunque solo una mezza tutela perché non prevede il riconoscimento del legame (anche ereditario) con la famiglia della madre adottante (quindi i nonni non sono nonni, gli zii non sono zii …)

7Secondo voi, quanto influisce la chiesa cattolica su queste tematiche in Italia? 

Sinceramente non sappiamo cosa rispondere, assolutamente influisce, ma non sapremmo dire quanto. Basti pensare che la cattolicissima Spagna è avanti anni luce su questo tema.

8Che futuro prevedete per vostro figlio? 

Per Milo speriamo in un futuro in cui essere figlio di due donne sarà solo una delle caratteristiche della sua vita, fatta di tante cose interessanti. Un futuro in cui ogni bimbo nato abbia gli stessi diritti e le stesse tutele, sia che sia nato in una famiglia etero che omogenitoriale.  

Come coppia genitoriale omosessuale, appartenete a “Famiglie Arcobaleno” un’associazione composta da genitori omosessuali di tutta Italia. Può sembrare un’auto ghettizzazione ma sappiamo bene che non lo è.

9Quanto è fondamentale avere il supporto di altre famiglie che vivono la stessa situazione? 

È assolutamente fondamentale, per noi lo è stato soprattutto quando ci approcciavamo all’idea di avere un figlio per confrontarci su percorsi simili al nostro, per prendere decisioni e fare scelte ponderate. Più Milo crescerà, più sarà importante perché vivrà in un contesto pieno di famiglie diverse (tra loro e dalla sua), molti suoi amici avranno genitori eterosessuali e questa sarà la quotidianità. Con Famiglie Arcobaleno avrà modo di riconoscere la sua famiglia in mezzo ad altre più simili, di condividere momenti, e magari trovare sostegno in adulti e coetanei, a creare insomma un’esperienza comune. Per noi, oltre che fondamentale perché Famiglie Arcobaleno lavora e si batte perché vengano riconosciuti i diritti (e doveri) ancora mancanti alla nostre famiglie, sarà ancora e sempre terreno di confronto sui diversi temi che emergeranno durante la crescita di Milo e chissà occasione di amicizie.

10Mi piace pensare ad un’idea di associazione di famiglie a prescindere dall’orientamento sessuale. Crediate arriverà mai quel giorno? 

Associazioni di famiglie a prescindere dall’orientamento sicuramente esistono e fanno un gran lavoro. Personalmente reputiamo un valore aggiunto quello di avere un’associazione che ci accomuna anche per altro, ma probabilmente è un pensiero anche legato agli anni di attivismo. Quando si raggiungerà l’equità (o ancora meglio l’eliminazione dell’ingiustizia), nella società, nella quotidianità e nei diritti, quel punto forse associazioni come Famiglie Arcobaleno non saranno necessarie anche se credo che  continueranno ad esistere per comunanza di esperienze.  

Francesca Sorge

Educatrice, 37 anni, pugliese di nascita ma milanese di adozione. Appassionata di musica, fotografia e lettura.

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