Recensire l’episodio pilota, peraltro di una serie attesissima, non è mai facile.
E sinceramente lo è ancora di più con Westworld, il nuovo prodotto di punta del leggendario network satellitare americano HBO, perché gli spunti di riflessione che in più di un’ora mette sul tavolo sono davvero tanti ma al tempo stesso enormemente frenati dalla volontà di creare un episodio largamente introduttivo (e sottolineo il largamente).
Allora provo pure io ad introdurre, un momento doveroso di fronte ad un nuovo pilot. Westworld è una serie prodotta da JJ Abrams, nome che agli amanti delle serialità tv americana dirà più di qualcosa (ormai anche agli appassionati di cinema), ma soprattutto figlia della mente creativa di Jonathan Nolan, fratello del celebre regista Christopher, che con la moglie Lisa Joy copre il ruolo decisivo di showrunner della serie. La storia è l’adattamento del film del 1973 “Il Mondo dei Robot” di Michael Crichton, ma pur essendoci punti di contatto è chiaro che un film di 2 ore sarà inevitabilmente diverso da una serie che punta a dipanarsi per più stagioni (questa prima sarà composta da 10 episodi). La trama, molto ma molto sinteticamente, racconta di un avveniristico parco a tema in cui gli uomini più ricchi del pianeta posso vivere un’esperienza virtuale nel vecchio far west americano, entrando a contatto con dei robot che fanno da comparse.
Westworld, ed il suo primo episodio, di conseguenza, ci presentano subito il motivo di fondo e centrale dell’intera vicenda: il rapporto tra uomo e macchina. Sono onesto, sinceramente non è il massimo, ormai moltissima fantascienza ricorre da decenni a tale tematica e mette sempre al centro il quesito “il robot può avere una propria coscienza, una propria memoria, una propria anima?”. La serie non nasconde una certa ovvietà del quesito di fondo – utilizza addirittura le tre leggi di Asimov – ma dopo aver visto un intero filone di film simili da Blade Runner al recente Ex Machina, solo per citare qualche esempio, Westworld rischia di incappare subito nell’effetto deja vu. Un effetto che abbiamo per tutti i 70 minuti: come in tutti i film che affrontano tale argomento, si finisce per empatizzare più con i robot, e come in tutte queste storie l’uomo è il cattivo perché accanto alla visione creativa si vede il fondo di infinità crudeltà a cui può arrivare.
Ecco, detto così sembra che stia bocciando questo pilot, ma non è vero. Come detto è una puntata molto introduttiva, credo si debba aspettare il prossimo episodio o almeno un paio prima che i fili della vera trama entrino in azione, e soprattutto Jonathan Nolan e il suo team approcciano un tema visto e rivisto in modo del tutto affascinante e inquietante.
Infatti, anche avendo imparato molto in questa puntata, per noi il mondo di Westworld rimane un gigantesco mistero: sappiamo solo che esiste questo bizzarro parco giochi futuristico, ma non sappiamo le relazioni tra i personaggi umani, che non abbiamo mai visto al di fuori dei loro fantascientifici laboratori. C’è il fascino di capire come i robot possano sviluppare un’autentica anima, e al tempo stesso l’intrigo di questi uomini che giocano letteralmente a fare Dio (pochissimi minuti, e Anthony Hopkins è già al suo meglio negli ultimi dieci di ruoli cinematografici discutibili). Abbiamo una notevole quantità di regole ancora da scoprire, e soprattutto il passato delle varie storie che può venire a galla da un momento all’altro. Ma non lasciatevi ingannare solo dalla solita dose di interrogativi: Westworld appare già come una serie con i piedi ben piantati nei temi esistenziali più che nei misteri fini a sé stessi, con l’angoscia fondamentale che deriva dalla ricerca del nostro ruolo nel mondo.
Cosa è la vita? Forse non siamo tutti robot nelle mani di un disegno imperscrutabile molto più grande di quanto possiamo o potremo mai immaginare? Domande a cui indubbiamente Westworld non potrà dare vere risposte nelle prossime 9 puntate, ma renderle ancora più affascinanti sicuramente sì. Dopotutto, come dice il personaggio della direttrice Cullen ad un certo punto, rivolta al suo programmatore: “Sei abbastanza intelligente da vedere che c’è un disegno più grande, ma non così intelligente da capire cosa sia” e ciò potrebbe essere indirizzato ad ognuno di noi.
Emanuele D’Aniello