Mi immagino gli audaci che adesso, spinti dalla curiosità, hanno deciso di vedere Twin Peaks. Senza conoscere la serie vecchia magari, senza capire cosa li aspettava.
Me li immagino sedersi davanti al televisore, o al computer, e poi trovarsi davanti questo.
Risate isteriche? Frustrazione? Senso di meraviglia? Senso di presa in giro?
Non è facile adesso, nel 2017, mettersi davanti a Twin Peaks. Non è facile addirittura per chi conosce a menadito la vecchia serie e lo stile di Lynch, figuriamoci per gli altri. Sicuramente non è semplice raccapezzarsi vedendo i personaggi che, di fronte all’atarassia di “Dougie”, reagiscono normalmente.
Ma lo stile di Twin Peaks è questo, è ovvio che nessuno reagisca, nessuno colga che quell’uomo non sta bene. E’ quel surrealismo tipico di Lynch che, spostato in chiave ironica, diventa comicità dell’assurdo, quasi nonsense.
E quindi, in un episodio come questo largamente transitorio, dopo i botti di inizio stagione, possiamo riflettere su cosa stiamo vedendo.
Perché è lampante che, scena dopo scena, puntata dopo puntata, Twin Peaks sta tornando veramente. Mancheranno le note di Angelo Badalamenti, ma quell’atmosfera surreale sta tornando davvero. Assurda, come nel litigio tra lo sceriffo Truman e la sorella. Misteriosa, come nel finale che ci porta per un attimo a Buenos Aires. Folle, come nello sproloqui del dottor Jacoby. Largamente inquietante, come in tutti i momenti legati a Bob.
E quindi una puntata transitoria come questa, che ci fa riassaporare il passato, è perfetto per introdurre al tempo stesso così tanti volti nuovi. E’ una mappa che si dipana (dopotutto abbiamo ancora 13 ore, tante per la serialità tv) e ci accompagna nel gioco di “indovina quale attore appare adesso”.
Ma, nonostante i camei, finora questo nuovo Twin Peaks rimane l’odissea dell’anima dell’agente Cooper.
Il nostro protagonista, per usare un eufemismo, non è uscito benissimo dall’esperienza nella Loggia Nera. Ma pian piano sta recuperando conoscenza, che sia grazie a un caffè oppure a parole che arrivano casuali al suo orecchio. Incredibilmente, il viaggio di Cooper, che col sapore di un caffè ricorda il passato, è la stessa corsa di noi vecchi spettatori, che con piccoli momenti o volti ci lanciamo alla ricerca di quella serie che 25 anni ha fatto epoca.
E quindi possiamo affermare senza dubbio che anche una puntata così apparentemente non significativa ci lascia di stucco. Accade grazie alla densità di informazioni, stranezze e momenti di pura meraviglia. Che arrivano quando non si capisce davvero così si vede, o quando si spera in qualcosa (Buenos Aires non è nominata a caso se ricordate Fuoco Cammina con Me e tutte le menzioni nelle puntate precedenti a Philip Jeffries). Oppure momenti di meraviglia per l’audacia di Lynch di fregarsene di ogni regola tv moderna e fare quello che gli pare. Senza limiti, senza pregiudizi, senza sovrastrutture, senza paura delle nostre reazioni.
Emanuele D’Aniello