The Night Of 1×02/1×03, la realtà non è come appare
E’ piuttosto inusuale per una serie, a maggiore ragione se questa essendo una miniserie ha poche puntate a disposizione, di introdurre il suo vero protagonista così tardi nel gioco complessivo della narrazione. Un esempio supremo è The West Wing, che per quanto estremamente corale aveva come protagonista il presidente Josiah Bartlet, la cui entrata in scena arrivò solo alla fine del pilot.
The Night of ripropone in maniera simile il medesimo schema, e così le puntate 2 e 3 sono il palco ideale per mostrarci il vero mattatore della vicenda: l’avvocato John Stone, interpretato con una empatia incredibilmente umana da John Turturro.
John Stone è il classico avvocato sfortunato e poco magnetico, quello che lavora in proprio e spesso è chiamato come legale d’ufficio, si barcamena tra casi piccoli e pessimi e mette terribili annunci in giro. Non che non sia bravo, semplicemente non è colui che, appena lo vedi, ti fa pensare che sia in grado di “convincere la giuria”. Qui finisce in un caso ovviamente molto più grande di lui, come gli ricordano in parecchi, ma la sua scelta non è mossa dall’ovvia ambizione, che comunque è presente e gli potrebbe portare notorietà a prescindere dall’esito del caso, ma dalla sua umana vicinanza a Naz. Insomma, abbiamo due protagonisti tristi, sfortunati, soli, in un certo senso quasi reietti dalla società esterna, che devono farsi forza a vicenda. Turturro e gli sceneggiatori aiutano tantissimo a caratterizzare il personaggio – per dire, un banalissimo e ricorrente eczema è già una cifra distintiva – e renderlo immediatamente simpatico per il suo senso di profonda empatia.
Turturro e il suo John Stone dominano talmente tanto la scena che, in un certo senso, The NIght of in questi episodi decide di sdoppiarsi e raccontare due storie, e due analisi critiche sociali, unite da un filo conduttore fondamentale ma comunque separate: da un lato rimane ritratto del percorso giudiziario di un sospettato, un purissimo legal drama che ci mostra i meandri dell’indagine della polizia e la costruzione del caso davanti a giudice e giuria, in cui la per quanto reale verità non conta più ma conta presentare una versione credibile e commovente; dall’altro arriva il dramma di stampo carcerario, in cui la vita di un detenuto scorre tra spiacevoli situazioni, brutte amicizie e costrizioni di ogni sorta.
Stone e Naz diventano ognuno protagonisti del proprio racconto, e ciò permette alla miniserie di allargare ancora di più i propri orizzonti introducendo tanti personaggi e tanti temi da toccare con attenzione (su tutti come un caso di omicidio diventi una recita in cui agiscono accusati, polizia, avvocati, familiari e specialmente i media, mettendo da parte la vittima, una recita in cui conta apparire e non essere). Ciò che piacevolmente stupisce è l’incredibile dose di realismo della serie, e lo scioccante potere di immedesimazione verso lo spettatore, senza che ciò comprometta la costruzione di una narrazione efficientemente calibrata e la presenza di una cerca ironia nera di fondo. E soprattutto, ancora un dubbio fortissimo: tutti gli indizi puntano contro Naz, tutte le nostre sensazioni umane puntano a scagionarlo. Questa è grande televisione.
Emanuele D’Aniello