La serialità tv sta vivendo un’epoca d’oro, eppure non è pronta per l’impatto di The Handmaid’s Tale.
Scritta da Bruce Miller e diretta nei primi tre episodi andati finora in onda da Reed Morano, e tratta dall’omonimo romanzo del 1985 di Margaret Atwood (edito in Italia col titolo Il Racconto dell’Ancella), è forse la serie tv più raggelante e disagevole mai andata in onda.
So benissimo che usare fin da subito le iperboli in una recensione crea aspettative altissime verso la serie. Ma davvero, vi sfido a vedere il 3° episodio, il più duro del filotto finora trasmesso, e non trovare la visione semplicemente insopportabile.
Ciò che rende The Handmaid’s Tale così insostenibile a tratti è, naturalmente, il suo sguardo verso la realtà. La storia è una distopia piuttosto classica, ambientata in un mondo in cui radiazioni hanno ridotto la fertilità con al centro una teocrazia totalitaria che ha preso il potere negli Stati Uniti e ha azzerato il ruolo delle donne, le quale non possono più lavorare e avere diritti, ridotte a cameriere utilizzate come schiave sessuali. “Un utero che cammina” si definisce ad un certo punto la protagonista, e non potrebbe essere più drammaticamente vero.
Però non è solo il contesto a rendere durissima la visione. Non è solo la violenza fisica e psicologica contro le donne. E’ lo spettro della metafora verso il sessismo moderno a rendere semplicemente agghiacciante ciò a cui assistiamo.
Naturalmente, è difficile che una teocrazia prenda il potere nel mondo occidentale. Ma purtroppo vediamo esempi reali di teocrazie in tante parti del mondo, le quali schiacciano senza vergogna i diritti umani. E lo fanno continuamente. E nel nostro apparentemente sereno e libero angolo di mondo, difeso da costituzioni e benpensanti, si fa comunque sempre più strada uno strisciante estremismo, uno sconvolgente radicalismo, una continua distorsione di ogni principio religioso.
The Handmaid’s Tale è indubbiamente una serie realizzata benissimo. E’ scritta con enorme acume, sa equilibrare i momenti più duri, è girata con dinamismo e ha un look estetico impeccabile, ad iniziare da scenografie e costumi. Ma colpisce nel segno non per la fattura, quanto per i brividi che trasmette nel ritratto del più ripugnante sessismo.
Non bisogna essere donne, o magari femministe, per rimanere scioccati dalle immagini a tratti abominevoli che la serie regala. Dopotutto, le scene più agghiaccianti non sono quelle del “presente” della storia, ma quelle mostrare nei vari flashbacks. Quelle che mostrano il NOSTRO mondo, la nostra realtà, e come potrebbe deflagrare su sé stessa già domani. Anzi, talvolta sono momenti addirittura così tristemente veri conoscendo il contesto politico globale in cui viviamo.
The Handmaid’s Tale è assolutamente un incubo. Purtroppo, è l’incubo più vivido e realistico che potremmo mai immaginare. E come tale, pur essendo davvero dura da digerire, è una serie che merita di esser vista, capita e trasmessa a più persone possibili.
Tre altri punti che vorrei brevemente sottolineare:
- L’efficacia del voice-over. Personalmente, sono spesso contrario alla voce fuori campo, una delle tecniche cinematografiche che meno amo. C’è da ammettere però, qui è assolutamente ideale. E’ infatti utile per eviscerare i pensieri della protagonista e soprattutto calibrata come tonalità grazie alla magnetica performance della solita enorme Elisabeth Moss.
- Alexis Bledel non è mai stata la miglior attrice in circolazione, ed il marchio di Gilmore Girls non se lo è mai tolto in tutta la carriera. Eppure, vedendola ora, dobbiamo dire che non è mai stata tanto brava. Tutto il lavoro che fa nel terzo episodio, in cui non parla mai, è davvero da brividi.
- Ann Dowd è costretta spessissimo ad interpretare personaggi odiosi e detestabili, ma andiamo, quanto è perfetta?
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Emanuele D’Aniello