The Handmaid’s Tale 2×01/2×02, la luce in fondo al tunnel

The Handmaid's Tale 2

Bastano pochi momenti, solitamente, per capire cosa voglia essere una serie tv.

Nel secondo episodio c’è una scena con protagonista Alexis Bledel, un flashback del suo personaggio. Lei è al piano superiore di un edificio, guarda fuori dalle vetrate, in basso, e scorge una scritta sulla strada esterna, un insulto; poi vede la gente piangere mentre guardano un punto in alto, si gira e vede all’esterno una lunga corda tesa appesa ancora più in alto.

Abbiamo già immaginato cosa sia successo. Avendo oltretutto anche le scene precedenti quel momento, abbiamo anche capito benissimo a chi è successo, e il perché.

Però non basta a The Handmaid’s Tale, effettivamente. Ha raggiunto il suo scopo, in maniera anche efficace, eppure vuole di più. Il personaggio della Bledel scende a vedere cosa è successo, pur avendolo capito insieme a noi, e quindi per quei 30/40 secondi che ci mette a scendere sappiamo che stiamo per assistere faccia a faccia all’orrore che già immaginiamo. Orrore che poi, puntualmente, arriva senza filtri.

Una tortura, in un certo senso, accentuata da quell’attesa verso qualcosa che ci aspettiamo.

Ecco, The Handmaid’s Tale è esattamente questo. Il suo non è un intento didascalico, affatto, ma è la volontà di metterci di fronte all’orrore, sempre e comunque, per farcelo assorbire e ricordarci di vivere sull’attenti, capire le cose che sembrano piccole ma possono diventare più grandi e più preoccupanti (come un ridicolo inutile interrogatorio in ospedale quando June va a recuperare la figlia), per mostrarci che il male c’è, esiste, è vivissimo e presente con noi, e dobbiamo fare di tutto per combatterlo e respingerlo se non vogliamo che il nostro presente superi la finzione di un romanzo o di una serie tv.

Più che un prodotto televisivo, anche in questa 2° stagione The Handmaid’s Tale si conferma un allenamento verso gli orrori possibili.

Sempre più squassanti, se ora per la prima volta facciamo addirittura la conoscenze delle colonie. Orrori che forse, finalmente, possono essere non superati, non sconfitti, ma quantomeno accantonati per un attimo. Se infatti la scorsa stagione si era chiusa con una nota di speranza, seppur fortemente ambigua, in questo inizio di seconda stagione la fuga di June diventa realtà. Difficile, dolorosa, pericolosissima, forse inutile, eppure reale.

Una fuga pure per gli autori dal romanzo originale, ormai narrativamente superato. Le chance che hanno davanti diventano quindi infinite, ma quella più rivoluzionaria di tutte è dare appunto un briciolo di speranza a personaggi e spettatori. Questo è forse il miglior modo per andare avanti (la stagione avrà tre episodi in più rispetto alla prima), far credere che esista davvero una luce in fondo al tunnel.

Dopotutto The Handmaid’s Tale si conferma con questo ritorno ciò che già era: una grandissima serie tv ma così dannatamente difficile da digerire. Le interpretazioni sono sontuose, il look visivo continua ad essere stupefacente nell’uso delle luci e dei contrasti di colore nelle composizioni delle inquadrature, la storia è naturalmente avvincente…eppure mettersi ogni settimana di fronte ad una nuova puntata è una sofferenza, la visione scatena un malessere insopprimibile.

Tutti punti a favore, perché solo rischiando si fanno grandi cose. Solo così da serie tv The Handmaid’s Tale diventa un’autentica esperienza. E per la seconda stagione sa ancora catturarci l’anima e tritarla per bene.

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Emanuele D’Aniello

Malato di cinema, divoratore di serie tv, aspirante critico cinematografico.

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